Il 22 novembre 2004 Potenza venne svegliata da un’operazione anticrimine che fece scalpore, prima di tutto, per i nomi delle persone coinvolte e, poi, per certi metodi adottati. Erano i tempi delle inchieste sotto i riflettori del pubblico ministero Henry John Woodcock, destinate a ripetersi durante la sua permanenza in Basilicata. Tira dentro qualche politico, inserisci alcuni personaggi famosi e rilancia sulle televisioni e i giornaloni nazionali le notizie gli ingredienti di successo per avere massima visibilità. Giustizia spettacolo o giustizialismo? A Potenza sono ancora in tanti a chiederselo. Sembra passato un secolo da quando sfilarono nel massiccio palazzo di giustizia di via Nazario Sauro vip e aspiranti teste coronate. La procura di Potenza mise sotto inchiesta pure Vittorio Emanuele di Savoia e il paparazzo Fabrizio Corona. Entrambi vennero ospitati per alcune settimane nel carcere di “Betlemme”, non la città palestinese, ma il quartiere in cui è ubicata la casa circondariale del capoluogo lucano. L ’inchiesta del pm anglo-napoletano Woodcock del 2004, denominata “Iena Due”, si soffermò sui legami tra criminalità, politica, imprenditori e professionisti della cosiddetta “zona grigia”, impegnati, secondo il più classico schema investigativo, a spartirsi ghiotti appalti. Cinquantadue le persone arrestate. Nella pesca a strascico della procura finì l’allora presidente della Camera penale di Basilicata, Piervito Bardi, accusato di aver intrattenuto rapporti con un boss della malavita locale. L’avvocato Bardi è morto qualche giorno fa a causa di un male incurabile. Aveva 67 anni. Ma facciamo di nuovo un salto nel passato, ai fatti del 2004. Il Tribunale del Riesame di Potenza a un mese di distanza dall’operazione di carabinieri del Ros, coordinati dalla procura, non ravvisò il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in capo al presidente della Camera Penale di Basilicata, rimesso in libertà una decina di giorni dopo l’arresto. Nel 2004 i penalisti lucani protestarono animatamente per la gogna mediatica alla quale venne sottoposto il loro più importante esponente. Le foto di Bardi con le manette ai polsi, mentre usciva dalla caserma dei carabinieri, vennero pubblicate dai giornali nazionali e Potenza ancora una volta – il copione si sarebbe ripetuto negli anni successivi – divenne il centro di inchieste clamorose. La fotografia con le manette è definita dall’avvocato Leonardo Pace, a distanza di quasi vent’anni, «un’immagine deteriore». Pace ha conosciuto molto bene l’ex presidente della Camera penale lucana scomparso qualche giorno fa. «In quella occasione – riflette – assistemmo ad una forma di giustizia mediatica come amplificazione del caso. L’immagine di Bardi, sbattuta in prima pagina, doveva rendere la notizia dell’arresto ancora più impattante». I funerali di Bardi, celebrati a Potenza due giorni fa, hanno riacceso tra gli avvocati i ricordi. «Rimarrà nella memoria di molti – ricorda Pace -, come traccia indelebile, l’esperienza più triste vissuta dall’avvocato Piervito Bardi nel corso della sua vita troppo breve. In una mattina del novembre 2004, allora Presidente della Camera Penale di Basilicata, l’avvocato Bardi venne tratto in arresto nel corso di un’operazione antimafia sulla città di Potenza, che teorizzava l’esistenza di una cupola mafiosa costituita da un’alleanza tra politici, professionisti, imprenditori e criminalità organizzata. Il nome dell’inchiesta era di per sé sinistro: “Iena Due”. In quella mattina Piervito venne arrestato e condotto in caserma, nella centrale via Pretoria. All’uscita, mentre un elicottero volteggiava sull’operazione di polizia in corso, era atteso da un nugolo di fotoreporter, preavvertiti ed appostati lungo la balaustra dell’edificio di Poste italiane, situato difronte. Allora non ce ne rendemmo conto, ma quella livida mattina del 22 novembre 2004 segnava la data di nascita della “giustizia mediatica” in Basilicata». Pagine di inchieste e cronaca giudiziaria scritte a Potenza che pretendevano a tutti i costi il colpevole da sbattere in prima pagina. «Prese corpo – aggiunge l’avvocato Pace - un’idea di giustizia che ricerca, attraverso la spettacolarizzazione dell’evento investigativo e cautelare, un più ampio consenso di opinione pubblica così chiamata a condividere e ratificare il successo dell’indagine in corso. L’accusa a carico di Piervito Bardi aveva ad oggetto il contenuto di una intercettazione telefonica con un ritenuto esponente della locale criminalità organizzata. “Mafioso per una telefonata”, quindi, come titolò icasticamente il quotidiano Il Riformista all’epoca dei fatti. Si disse che la mafiosità del colloquio si desumeva dal tono della voce, diciamo allo stesso modo in cui dal timbro vocale si può capire se si è tristi oppure allegri». L’accusa a carico di Bardi, come evidenzia Leonardo Pace, «venne modificata tre volte: prima associazione mafiosa, poi concorso esterno, infine favoreggiamento aggravato». «Un’accusa multiforme – conclude il penalista del Foro di Potenza -, come l’ingegno di Ulisse. La Corte di Cassazione, che demolì quell’inchiesta, si espresse sulla complessiva tesi di accusa a carico dell’avvocato Bardi, definendola “eccentrica” ed annullandola. Quella vicenda segnò profondamente Piervito, anche se cercava di non darlo a vedere, e ne fiaccò lo spirito e forse anche il corpo. Piervito era un interlocutore intelligente ed un conversatore arguto ed amabile. Ed era anzitutto un ottimo avvocato. Oggi che non è più tra di noi rimane almeno l’auspicio che vicende giudiziarie come quella vissuta da lui non abbiano a ripetersi mai più».