Nelle piazze russe, a Mosca come a San Pietroburgo come nelle più lontane province di quell’immenso paese, sono apparsi grandi poster 6x6 che invitano a arruolarsi: “Servire la Russia è un buon lavoro” – recita lo slogan. Non manca la famigerata Z. È la mobilitazione nazionale di guerra contro tutto l'occidente. C’è un numero di telefono, e è previsto un rapido addestramento. C’è, online, anche spiegata quale sarà la paga del soldato. Le regole d’ingaggio, si presume, verranno dettate quando si metteranno gli stivali sul campo. Ma l’effetto, al momento, sembra sia opposto e contrario: dalla Russia, chi teme di poter essere costretto alla mobilitazione di guerra e all’arruolamento, prova a scappare. Nei primi giorni di questa guerra, quando iniziarono le sanzioni contro gli oligarchi e l’entourage più stretto, il cerchio magico di Putin, ci furono zelanti iniziative che, come tutte le cose circonfuse di zelo eccessive, erano stupide oltre che grottesche e odiose. Accadde così che a Paolo Nori l’università della Bicocca comunicò via e-mail che intendeva sospendere il corso di quattro lezioni (gratuite e aperte a tutti) che avrebbe dovuto tenere su Dostoevskij; nella mail, l’Università spiegava che la sua decisione fosse stata presa «per evitare ogni forma di polemica in un momento di forte tensione». Ci si sarebbe aspettato, semmai, che proprio «in un momento di forte tensione» l’amore per la letteratura, per la cultura fosse tenuto in grande considerazione, per mantenere vivo ogni sentimento di umanità, più forte delle guerre. Poi, fu la volta del maestro Valery Gergiev, messo alla porta dalla Scala perché amico personale di Putin e perché non si era espresso apertamente contro la guerra. La cosa ebbe anche una coda importante: la soprano Anna Netrebko, che era attesa per alcune recite, decise di rinunciare, proprio in solidarietà a Gergiev. Fece anche un comunicato, la Netrebko: «Obbligare gli artisti, o qualsiasi figura pubblica, a dare voce alle proprie opinioni politiche per denunciare la propria 'casa' non è giusto. Questa dovrebbe essere una scelta libera. Io sono un'artista e il mio obiettivo è unire le persone oltre le divisioni politiche». La cosa grottesca è che la Netrebko non subì solo l’ostracismo dello Staatsoper di Berlino e del Metropolitan di New York, ma successivamente anche dell’Opera Novosibirsk, in patria. L’episodio più odioso avvenne a Gorizia, dove il concorso musicale escluse tre ragazzi perché russi, e – per sovrapprezzo – chiese loro l’abiura se volevano partecipare. La russofobia è una sciocchezza – essere contro la guerra di Putin non può significare la condanna di tutto ciò che è russo. Anzi, è proprio questo il tempo di mostrare quanto forte sia da sempre il legame tra l’Italia e la cultura russa. Per tutto l’Ottocento e parte del Novecento l’Italia era la «patria dell’anima» di scrittori e poeti russi. Dei loro viaggi fugaci, come quelli di Cechov che si recò «nel paese delle meraviglie» per tre volte e sempre facendo tappa nella «città bella» di Venezia, o dei lunghi soggiorni di Gorkij a Capri e Sorrento o di Gogol a Roma restano tuttora molte tracce. In piazza Pitti a Firenze ci si può imbattere nell’abitazione dove Dostoevskij scrisse l’Idiota. Con chi siamo in guerra, con Putin o con Anna Karenina e zio Vanja? È tempo perciò di aprire le nostre case ai russi che proveranno a fuggire dal regime e dalla guerra. Siamo stati in prima fila per accogliere gli ucraini, non possiamo essere da meno nell’aprire le nostre porte ai russi. Ne va della loro umanità, e della nostra. Potremmo, la sera, ascoltarli mentre ci leggono pagine di Tolstoj. Pensate quale meraviglia, quale dono ascoltare nella loro lingua le vicende di Pierre e di Natascia. E noi potremmo leggere loro qualche terzina di Dante, così amato in Russia. E magari insegnargli a cucinare gli spaghetti al dente, mentre loro ci spiegano bene come si fanno i blinis o il borsch. Potremmo sentire di nuovo insieme cosa è l'Europa. Accogliere i russi che fuggono dalla guerra – manteniamo vivo il senso più profondo dell’essere umani. Proprio nel momento in cui l’umanità stessa sembra a repentaglio.