Nessuna sorpresa dell’ultima ora. Anche per queste ultime elezioni, la percentuale di votanti per la componente togata del Consiglio superiore della magistratura è stata particolarmente elevata. Chi riteneva che gli scandali precipitati negli ultimi anni sulla magistratura avrebbero generato “disaffezione” nella base dei magistrati ha sbagliato i propri calcoli. L’alto numero di votanti (il dato ufficiale non è ancora disponibile ma pare attestarsi oltre l’ 80 percento) si presta, però, ad alcune considerazioni.

Senza dubbio, il voto per il Csm continua ad essere visto come un “dovere” da parte del magistrato, che ha una alta considerazione dell’istituzione consiliare e pertanto vuole essere in qualche modo “determinante” nella future decisioni del Plenum. Dall’altro lato, invece, vi è una forma di “autotutela” nei confronti degli altri poteri, il legislativo e l’esecutivo: una bassa affluenza avrebbe costituito un segnale di debolezza, aprendo la strada a riforme maggiormente invasive rispetto a quelle già realizzate dal Parlamento. Lo “spauracchio”, in altre parole, è che si possa arrivare a mettere in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

A leggere i programmi dei vari candidati, sostanzialmente simili al netto di qualche sfumatura, “autonomia” ed “indipendenza” sono stati i termini maggiormente ricorrenti. In questi giorni è poi forte il timore che dalle consultazioni di domenica prossima possa manifestarsi una maggioranza parlamentare in grado di nominare da sola tutti i dieci componenti laici. Visto che i sondaggi danno per vincente lo schieramento di centrodestra, storicamente non proprio “pro toghe”, il voto dei laici diventerebbe, in quest’ottica, l’occasione per un regolamento dei conti.

In uno scenario del genere, non può sottacersi il ruolo che il prossimo Csm avrà nella fase di applicazione della riforma dell’ordinamento giudiziario. Molti punti della legge presentano criticità. Si pensi solo alle cosiddette pagelle, legate anche alla tenuta dei provvedimenti nei gradi successivi. Un meccanismo che crea una “casta” di magistrati non valutabili: i giudici in servizio presso la Cassazione. Con tali regole sono automaticamente esclusi da ogni giudizio, creando una sperequazione con i colleghi. Sperequazione molto fastidiosa in quanto i magistrati si differenziano fra loro solo per funzioni.

Prima di concludere, un accenno al tema annoso delle nomine. Negli ultimi periodi la situazione è sfuggita di mano e non c’è nomina che non venga impugnata e, molto spesso, annullata. L’ultimo caso questa settimana per l’incarico di presidente del Tribunale di Palermo. Il cittadino utente del servizio giustizia cosa può pensare? Quale credibilità ha un Consiglio i cui provvedimenti vengono cassati con elevata frequenza? E poi qual è l’autorevolezza interna ed esterna all’ufficio di un presidente di Tribunale o di un procuratore la cui nomina è stata bocciata dal Tar? Come può esercitare al meglio le proprie funzioni sapendo che esiste la concreta possibilità che dall’oggi al domani debba lasciare l’incarico?

L’unica variabile, a questo punto, riguarda chi avrà vinto. Se avranno prevalso i candidati chiaramente riferibili a un gruppo associativo, vorrà dire che il ‘ sistema’ è comunque apprezzato dai magistrati. Se, invece, avranno avuto la meglio i magistrati ‘ indipendenti’, che erano la maggioranza dei candidati, è il segnale che si è chiusa una stagione e si volta pagina...