In Belgio, sabato scorso, sono stati “incarcerati” 55 magistrati tra pm e giudici che volontariamente hanno scelto di sperimentare la vita dei detenuti. L’istituto di pena che si trova nella zona di Bruxelles è il carcere di Haren, una nuova struttura con una capacità di 1.190 detenuti che sarà inaugurata il 30 settembre. L'obiettivo è stato quello di comprendere meglio la vita quotidiana dei reclusi e cosa significa essere privati della libertà personale. L’esperimento è però durato poco, solo fino a domenica. I togati hanno dovuto seguire gli ordini e le istruzioni del personale carcerario, è stato tolto loro il cellulare, hanno mangiato gli stessi pasti e compiuto le stesse attività degli altri detenuti. Sono stati impiegati, tra l'altro, in cucina e in lavanderia. E avrebbero potuto ricevere le visite dei familiari. Insomma sono stati trattati come veri e proprio prigionieri. «I magistrati – ha commentato il ministro della Giustizia belga Vincent Van Quickenborne - sanno ovviamente come funzionano le cose in un carcere, ma viverle in prima persona offre loro un'opportunità unica che può aiutarli a emettere sentenze con piena cognizione di causa». Il funzionario fiammingo, membro del partito liberale Open Vld, ha aggiunto che questa esperienza dovrebbe aiutare a preparare meglio l'apertura di questo nuovo carcere, ottimizzandone la disposizione e «sviluppando un approccio moderno». Certo, come hanno sottolineato Riccardo Radi e Vincenzo Giglio sul blog Terzultima fermata, non va dimenticato “il più formidabile dei benefit” concesso ai magistrati, ossia la possibilità di “lasciare il carcere a semplice domanda, gli basta dire che non sopportano più la clausura”. Giustissimo, ci mancherebbe: tuttavia questa opportunità segna la grandissima differenza a livello di approccio psicologico tra chi entra in carcere e sa di non avere la chance di uscirne presto e quando desidera e chi con una alzata di mano al primo cedimento può tornare in libertà. In Italia purtroppo non ci sono queste possibilità di sperimentazione. Come ci ha ricordato tempo fa in una intervista il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, Marcello Bortolato, «quando Presidente della Scuola Superiore della Magistratura era il professor Valerio Onida, i giovani magistrati in tirocinio erano tenuti a frequentare degli stage penitenziari addirittura per 15 giorni. Poi, per alcune ingiustificate polemiche che sono sorte anche all’interno della magistratura, non se ne è fatto più nulla perdendo, a mio avviso, un’occasione unica di crescita professionale ed esperienza umana». Tornando alla prigione di Haren, il progetto di costruzione si è basato sul principio del villaggio carcerario, ovvero una serie di edifici distribuiti sul sito piuttosto che un unico enorme edificio.  Il complesso carcerario è composto, da un lato, da una serie di edifici con strutture comuni come aree di visita, laboratori, un palazzetto dello sport e, dall'altro, da diversi edifici dove saranno alloggiati i detenuti. I detenuti potranno spostarsi tra il proprio edificio e le strutture comuni in modo sicuro e controllato. Eppure, nonostante l'entusiasmo delle autorità, questo progetto di "prigione cittadina" ha incontrato una forte opposizione da parte dei cittadini e delle associazione forensi: la prigione di Haren sarebbe, per molti, l'ultima incarnazione della corsa all'incarcerazione senza riuscire poi a risolvere il problema del sovraffollamento.