È un risultato se volete minimo. Eppure richiede all’avvocatura un impegno politico straordinario. Ed è proprio in vista di un obiettivo così essenziale che sembra aprirsi l’ultimo tratto di strada verso il Congresso nazionale forense. Essere riconosciuti, considerati dalla politica: gli avvocati, a guardare le proposte dei documenti precongressuali, chiedono di fatto questo. E lo fanno senza enfasi, ma con grande concretezza. Nelle pagine di questo “Dubbio del lunedì” abbiamo raccolto quattro dei sette documenti preparati dai Gruppi di lavoro precongressuali, nel prossimo numero ospiteremo gli altri tre. È una base di lavoro, non necessariamente la road map né l’approdo delle assise. A definire l’una e l’altro provvederà il confronto in programma a Lecce per il 6, 7 e 8 ottobre prossimi, le mozioni e i voti che ne seguiranno. Ma gli elaborati riproposti in queste pagine (in qualche caso “per estratto”, considerata l’ampiezza) hanno comunque un valore politico notevole: sono il frutto del dialogo all’interno dei Gruppi di lavoro, ciascuno costituito da rappresentanti delle istituzioni - dal Cnf ai Coa e alle Unioni dell’organo politico, l’Ocf, e di alcune fra le maggiori associazioni forensi, dall’Aiga, all’Anf alle specialistiche. Nessuno ha imposto la propria linea, tutti hanno accettato di costruire un piattaforma comune. E nel ritrovarsi su una base condivisa, appunto, le rappresentanze hanno colto una priorità: reclamare dalla politica un’attenzione alla specificità dell’avvocatura, una risposta alle attese del mondo forense che quasi mai si è manifestata. Un riconoscimento, appunto. Che vuol dire capacità di guardare alla professione forense come a una straordinaria protagonista della società italiana. Una categoria che, per il numero dei suoi componenti e per la rilevanza della funzione svolta, non può continuare a essere trattata con un atteggiamento superficiale, né mal-trattata con il disprezzo per la funzione difensiva Verrebbe da dire che proprio la sistematica carenza di riconoscimento giustifica, continua a giustificare una particolare richiesta che l’avvocatura rivolge al legislatore: inserire l’avvocato in Costituzione. La presidente del Cnf Maria Masi ne ha parlato in un’intervista pubblicata sul numero del Dubbio del lunedì precedente a questo, e lo ha poi ripetuto mercoledì scorso, nel dibattito ospitato presso la sede dell’istituzione forense e intitolato “L’avvocatura incontra la politica”. Ma forse mai come stavolta, nel discorso di Masi e, implicitamente, nei documenti precongressuali, il riconoscimento nella Carta è conseguenza necessaria dei tanti, troppi riconoscimenti mancati. Da un chiarimento definitivo sulla natura giuridica degli Ordini, che li liberi dalle compulsive e inappropriate richieste di adempimento delle amministrazioni centrali, al riassetto dell’accesso e della formazione. Dalle contromisure necessarie a fronteggiare la crisi economica della professione ai correttivi da apportare a riforme e interventi del Pnrr, in modo che le une e gli altri non comportino più solo responsabilità ma anche occasioni per gli avvocati. Sono richieste che hanno in comune un dato: i veri bisogni della professione. Spesso la politica si è mostrata incapace di riconoscerli. Ma basta un piccolo sforzo, per cambiare. «Noi sappiamo cosa siamo, vogliamo capire se lo sanno anche loro», dice Masi. E una politica degna di questo nome non può permettersi di ignorare l’avvocatura.