La «scossa» data dal presidente dell’Emilia- Romagna, Stefano Bonaccini, al suo partito, ha scoperchiato il vaso di Pandora del Congresso “in pectore” del Pd, pronto a essere convocato nel giro di pochi mesi in caso di sconfitta elettorale. Che per i dem, incapaci, almeno stando ai sondaggi, di rendere concreta una coalizione in grado di competere con il centrodestra, sarebbe tale se il partito dovesse ottenere meno del 20 per cento dei consensi. Cioè se, in sostanza, prenderebbe gli stessi voti presi dalla segretaria di Matteo Renzi nel 2018, che portò a casa il peggiore risultato da quando esiste il partito.

Il segretario Enrico Letta continua a macinare chilometri e sprona quotidianamente i candidati a tirare fuori «gli occhi di tigre» perché «la rimonta è possibile», ma sa benissimo che togliere a Fratelli d’Italia la capacità di risultare primo partito non sarà facile. E così, se dall’altra parte Matteo Salvini deve guardarsi da chi vorrebbe spodestarlo in caso di risultato negativo della Lega, ecco che anche dalle parti del Nazareno qualcuno comincia a muoversi.

«Bisogna correre per vincere, non per perdere bene», ha scandito Bonaccini a Repubblica, lanciando poi una frecciatina a Letta spiegando che «non è un voto tra buoni e cattivi o tra bene e male». Il riferimento è chiaramente alla strategia di comunicazione del Nazareno, che ormai da settimane sta polarizzando la campagna elettorale. E sul tema del cosiddetto “campo largo” è stato chiaro: «io voglio un Pd più forte in un centrosinistra più grande: non mi rassegno né alle divisioni né ai veti - ha detto - E mi interessa poco il nome del leader: quello che mi interessa, e molto, è recuperare i voti di elettori che se ne sono andati».

Come? «Con una proposta forte e comprensibile», che evidentemente non è stata messa in campo fin qui. Polemica con il vertice del Nazareno è anche la vice di Bonaccini, quella Elly Schlein alla quale Enrico Letta aveva fatto riferimento parlando di una donna come suo possibile successore. Ma Letta ha anche detto, nel corso di questa campagna elettorale, che il Pd non è intenzionato a fare governi con Verdi e Sinistra italiana, e che l’alleanza è solo “elettorale”. «Tra il programma del Pd e quello di Verdi/ Si la sovrapposizione è quasi totale - ha commentato Schlein - E credo che al governo si possa trovare un compromesso anche su cose non sovrapponibili: al governo con chi condivide il contrasto al precariato, la giustizia sociale e la conversione ecologica». E se Bonaccini sarà oggi a Viareggio accompagnando i candidati dem Andrea Marcucci e Martina Nardi, è il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a polemizzare con il presidente dell’Emilia- Romagna proprio sulle questioni legate al mondo del lavoro. Rispetto a Bonaccini, secondo il quale «l’occupazione di qualità non si crea cambiando le regole a ogni governo ma facendo politiche industriali, investimenti e formazione», e dunque non bisogna tornare all’articolo 18, Orlando replica di «non essere del tutto d’accordo». Secondo Orlando «l’Emilia- Romagna è una esperienza molto avanzata, ma anche aver precarizzato il lavoro ha incoraggiato un percorso di competizione basato sullo sfruttamento del lavoro piuttosto che sugli investimenti, sul capitale e sulla ricerca». Il ministro del Lavoro spiega che «ci vogliono sia le politiche industriali che regole più compatibili con la stabilità del lavoro» e «questo perché se chiediamo ai lavoratori di investire fortemente sulle loro capacità e sul miglioramento delle loro competenze, non gli possiamo offrire contratti di tre mesi».

E sul “congresso anticipato” del Pd aleggia l’ombra di Giuseppe Conte, che al Sud sta raccogliendo voti ( paradossalmente, questo potrebbe avvantaggiare il centrosinistra nella corsa contro il centrodestra) e che con l’attuale segreteria dem proprio non vuole avere più niente a che fare.

«Con questi vertici del Pd c'è poco da lavorare insieme, visto che si sono rivelati completamente inaffidabili e scorretti nell'attribuirci responsabilità e colpe - ha scandito ieri il leader del Movimento 5 Stelle - Dietro c’era un disegno molto chiaro, cinico e opportunista di emarginare il M5S e dividersi il consenso elettorale residuo: ne prendiamo atto e andiamo orgogliosamente da soli al voto».

Voto dopo il quale però, ci sarà da fare i conti. «Dobbiamo parlare con le persone porta a porta, andare nei mercati, per strada consiglia un senatore dem di lunga data - Sul dibattito tra Bonaccini e Orlando dico che le opinioni plurali sono sacrosante, ma anche che replicare a un’intervista in piena campagna elettorale è sciocco e poco utile: dobbiamo solo remare tutti insieme dalla stessa parte».

Almeno fino al 25 settembre, quando saranno le urne e solo loro a decretare il futuro del Pd. E del suo attuale segretario.