Sono storie di violenze gratuite e di abusi feroci, di omertà e depistaggi, ancora più raggelanti perché commesse da chi dovrebbe proteggerti, garantire i tuoi diritti, da chi dovrebbe custodire la sicurezza dei cittadini. Stiamo parlando delle vittime dello Stato, persone morte nelle mani della polizia, durante un banale controllo, o nel tempo della carcerazione preventiva; vicende spesso insabbiate dalle stesse autorità e poi venute alla luce del sole grazie alla determinazione e al coraggio dei familiari delle vittime, costretti abbattersi per anni contro i muri di gomma del potere, le intimidazioni della politica, le campagne di diffamazione, la solitudine. Sono decine i casi di violenza di Stato emersi nel recente passato, alcuni dei quali hanno avuto una grande risonanza mediatica, a cominciare da Stefano Cucchi.

È il 15 dicembre del 2009, il geometraromanodi31 anni viene fermato da una pattuglia dei carabinieri che lo trovano in possesso di una modesta quantità di hascisc e cocaina più una confezione di farmaci contro l’epilessia. Il giorno successivo c’è il processo per direttissima che convalida l’arresto per Cucchi, sarà l’ultima volta che la sua famiglia lo vedrà vivo. All’ingresso nel carcere di Regina Coeli le sue condizioni fisiche paiono preoccupanti, viene visitato dai medici che dispongono l’immediato ricovero nell’ospedale Sandro Pertini dove comunque resta confinato nel reparto per i detenuti sotto la custodia dei carabinieri. Per sei giorni nessuno sa nulla di cucchi: il 22 ottobre 2009 viene comunicata la sua morte. Le foto scattate dal medico legale piombano sulle prime pagine dei giornali con un effetto scioccante: il corpo di Cucchi sembra reduce da torture prolungate, contusioni, ferite, fratture.

Ci vorranno 10 anni e la tenacia incrollabile della sorella Ilaria Cucchi per arrivare a stabilire finalmente la verità sulla morte del geometra. Il 14 novembre 2019 la Corte d’Assise di Roma condanna in primo grado a 12 anni per omicidio preterintenzionale due carabinieri, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro. Il 7 maggio 2021 la Corte d'Assise d'Appello di Roma conferma la condanna per omicidio preterintenzionale dei due carabinieri innalzando da dodici a tredici anni la pena stabilita in primo grado.

Federico Aldrovandi invece aveva trovato la morte 4 anni prima, il 25 settembre del 2005. Aveva appena compiuto 18 anni. Viene fermato da una volante della polizia mentre stava camminando in pieno centro di Ferrara; il ragazzo non ci sta, risponde polemicamente agli agenti, nasce un diverbio, sul posto arriva un altra volante e la situazione degenera. Una testimone racconta di aver visto dalla finestra della sua abitazione i poliziotti prendere a bastonate Aldrovandi e poi schiacciarlo con i propri corpi. Muore all’istante. L’autopsia stabilisce la causa del decesso: apossia-asfissia posturale che ha portato all’arresto cardiaco; inoltre sul corpo vengono individuate oltre cinquanta lesioni. Sarà la madre Patrizia Moretti sul suo blog a denunciare l’ignobile pestaggio subito dal figlio, dando il via a una campagna di mobilitazione che raggiunge i media nazionali. La sentenza sette anni più tardi nel 2012 : i quattro agenti vengono condannati in via definitiva per “eccesso colposo in omicidio colposo” a 3 anni e 6 mesi di reclusione e la Corte dei Conti li ha condannati a risarcire lo Stato per 560 mila euro.

E sempre il 2015 quando Andrea Soldi, 45 anni e affetto da schizofrenia, è seduto su una panchina di piazza Umbria a Torino. E raggiunto da una pattuglia di polizia municipale portata lì dal suo psichiatra per sottoporlo a trattamento sanitario obbligatorio in quanto da un po ’ di tempo Soldi rifiuta di assumere farmaci. Come per Aldrovandi comincia una colluttazione, Soldi viene immobilizzato e ammanettato, ma con estrema violenza, un vigile gli stringe il collo. Perde i sensi e tutti non possono non accorgersi che la situazione è molto grave. Ma nel viaggio tra l’ambulanza e l’ospedale è ancora ammanettato e messo a testa in giù: muore pochi minuti dopo aver raggiunto la struttura sanitaria. L’autopsia disposta dalla procura di Torino stabilisce che Soldi è morto per gli abusi subiti durante il Tso con una inequivocabile relazione di causa effetto.

I quattro imputati sono stati condannati in primo grado a un anno e sei mesi di reclusione e le condanne sono state confermate in appello. La sorella Maria Cristina e il padre Renato in questi anni hanno lottato per ottenere giustizia ma soprattutto hanno denunciato gli abusi selvaggi del trattamento sanitario obbligatorio e l’assoluta impreparazione di chi è chiamato a eseguirlo. Una pratica controversa e foriera di tragedie come appare sul libro di Matteo Spicuglia Noi due siamo uno. Storia di Andrea Soldi, morto per un TSO, un lavoro importante che ricostruisce la vita del povero Soldi attraverso i suoi toccanti diari.