«Sappiamo bene cosa serve alla giustizia e a noi avvocati. Ora è necessario capire se ne sono consapevoli anche i partiti». La presidente del Cnf Maria Masi, più che una sfida, rivolge alla politica una richiesta di chiarezza in vista del voto, del fatidico 25 settembre. Ricorda le vere emergenze del sistema giudiziario, dalle «carenze di organico nei tribunali» alla «persistente difficoltà di accesso agli uffici», e le attese della professione forense, dall’equo compenso agli interventi sulla natura giuridica degli Ordini. Non si tratta di un dialogo a distanza: dopodomani, mercoledì 14, nella sede del Cnf, avvocatura istituzionale, Organismo congressuale forense e partiti si guarderanno negli occhi e si parleranno. Proprio la presidente Masi ha voluto un incontro per mettere sul tavolo l’agenda degli avvocati, e verificare se gli schieramenti sono disponibili ad attuarla. Interverranno i responsabili Giustizia dei partiti. Sarà anche l’occasione per un confronto elettorale sulla giustizia che finora la campagna per le Politiche ha offerto sì e no a sprazzi.

Qual è la prima richiesta degli avvocati? Non usare più la giustizia come pretesto per gli slogan ma risollevarne le carenze con concretezza?

Vorremmo che si smettesse di considerare la giustizia come una monade staccata dal resto. Com’è possibile trascurare la tutela dei diritti in un momento del genere, come se non facesse parte dell’ecosistema sociale?

È l’impressione che ricava dalla campagna elettorale?

Sì ed è sconcertante, perché anche a non voler cogliere il nesso sistemico che c’è fra giustizia e sistema sociale, fra giustizia ed economia, molto empiricamente si dovrebbe guardare alle conseguenze che la crisi, la recessione incombente, rischia di produrre sulla tutela dei diritti. È chiaro che se si tende a una fase di impoverimento e di difficoltà, aumenteranno i casi di chi è moroso, dei padri separati che non riescono a coprire le spese di mantenimento, perché magari quella cifra che hanno versato finora per le bollette non basterà a coprirne neppure una, di bolletta. Potremo avere più casi di licenziamento. Sono tensioni che pioveranno addosso a noi avvocati. Ma se non c’è una macchina giudiziaria che funziona davvero non saremo in grado di assicurare la tutela di quei diritti.

Senta, lei coglie nella politica questa “dissociazione cognitiva”, chiamiamola così, dopo aver constatato la “distrazione” della campagna elettorale rispetto ai temi della giustizia?

Be’, mi pare che il discorso elettorale sia evidente a tutti: non si dà adeguata importanza alla giustizia. Non la si considera un tema centrale. Vuole un esempio?

Prego.

Dei suicidi in carcere chi parla, a parte il Papa e i come sempre encomiabili radicali? Praticamente nessuno. Noi dedicheremo a un dramma così atroce una sessione del nostro congresso nazionale forense di Lecce. Il Cnf ha un dialogo e un rapporto costanti col Garante dei detenuti: un canale sempre aperto a partire dal protocollo che abbiamo sottoscritto nel febbraio scorso. Ma è la politica innanzitutto che deve affrontare con coraggio la situazione delle carceri. All’incontro con i partiti, di certo, verificheremo anche chi ha cuore il tema.

Su cos’altro li interrogherete?

Sull’occasione sprecata per l’equo compenso, sulla riforma fiscale, sulle idee che le forze politiche hanno rispetto alla natura giuridica degli Ordini forensi, solo per fare degli esempi. Ecco: noi avvocati sappiamo chi siamo.

A proposito di equo compenso: gli spiragli per approvare la legge ci sono ancora o no?

Se ci sono, i partiti dovrebbero avvertire il dovere di approvare il ddl sull’equo compenso in extremis. Noi professionisti siamo stati strumentalizzati, schiacciati dai contrasti della campana elettorale. Non è possibile assistere a centrodestra e centrosinistra che si palleggiano le responsabilità. Capiremo, da quello che accadrà nelle prossime ore, che posto occupiamo nelle priorità della politica.

A fine 2020 il Cnf ha presentato al governo una proposta sull’uso del Pnrr, con la “persona al centro”. Un disegno sulla nuova giustizia basato su razionalizzazione normativa, managerialità e formazione dei magistrati. È ancora attuale?

Attuale? Ogni idea di nuova giustizia riteniamo debba partire da lì. Dovrebbe essere il riferimento per i prossimi anni. Ne parleremo all’incontro con i partiti, certamente.

Va ricostruita la fiducia nella giustizia: è necessario andare oltre la riforma del Csm appena approvata?

Serve tempo. Inutile illudersi. E certo, noi come avvocatura istituzionale abbiamo espresso più di una perplessità sull’efficacia della riforma. Siamo disponibili a verificare le nuove norme alla prova dei fatti. Ma è impensabile attendere che entri a regime la nuova impalcatura dell’ordinamento giudiziario senza nel frattempo agire con interventi più immediati. Innanzitutto perché quella fiducia dei cittadini nella giustizia è compromessa sì dagli scandali, ma prima ancora dall’inefficienza del sistema.

A quali interventi si riferisce?

Nel mio distretto, Napoli, ci sono vere e proprie interruzioni del servizio giustizia, per carenza di personale amministrativo. In tante altre sedi si assiste a un analogo arresto della macchina giudiziaria: cito i casi recenti di Monza, Livorno, Genova. Si interrompe una funzione pubblica, non so se è chiaro. Ed è insopportabile nel momento in cui abbiamo vincitori di concorso pronti a colmare le carenze di personale, e pure le risorse per assumerli. Ma è chiaro che il sistema va ristrutturato in modo da prevenire le emergenze.

E quale può essere la strada?

A breve valuteremo tempi ed efficacia del reclutamento dall’ultimo concorso per 500 magistrati. Noi abbiamo presentato una proposta sull’accesso in magistratura che prevede di poter attingere anche dalla professione forense. Ripeto: non si può aspettare che la riforma produca, magari fra qualche anno, i primi effetti. Naturalmente c’è un’opera da compiere anche sul piano culturale. Dai nuovi rappresentanti del Csm, dalla magistratura in generale, ci aspettiamo una comunicazione diversa, una capacità di rivolgersi ai cittadini e prendere un impegno preciso sul fatto che le vicende del passato non si ripeteranno più.

Ora le toghe accusano i partiti di volerle colpire.

Dalla politica ci si aspetta innanzitutto che sappia mettere a frutto le risorse economiche disponibili. A proposito dei concorsi per il personale, moltissimi di coloro che li hanno superati e vinti sono avvocati.

Ristrutturare la giustizia non è una promessa vacua, insomma.

Non lo è a condizione di sciogliere tutti i nodi che la soffocano. Tra i più insopportabili c’è il problema dell’accesso. Ancora persistono molte delle limitazioni fisiche introdotte con l’emergenza pandemica. Vanno superate anche per produrre, attraverso la forza dei simboli, un effetto di rassicurazione dei cittadini: devono vedere che la giustizia è un presidio accessibile. Ecco, dai partiti ci interessa sapere anche questo: se condividono l’idea di un giustizia davvero accessibile a tutti, che non resti più il solo ambito ancora stretto nelle maglie dello stato d’emergenza.

Alcune riforme recenti presentano aspetti discutibili: in quella tributaria c’è un rigurgito di centralismo?

Presenta di sicuro passaggi che non condividiamo. Tra i più problematici c’è l’estensione del patrocinio ad altre categorie professionali. Non si tratta di una difesa incondizionata della categoria, ma di un principio costituzionale. E se permette, il fatto stesso che la titolarità della difesa in giudizio venga considerata come una prerogativa non solo dell’avvocato ci ricorda quanto la riforma dell’avvocato in Costituzione resti necessaria. E che anzi, rispetto alla formulazione da noi già proposta, può essere ulteriormente arricchita di contenuti.

Nel processo amministrativo rischiano di scaricarsi tutte le tensioni efficientiste indotte dal Pnrr?

Vedremo. Finora per fortuna è l’ambito in cui le innovazioni procedurali hanno offerto la prova migliore, anche grazie al contributo di idee venuto dall’avvocatura. Ma c’è da restare vigili.

Nell’ascoltare l’avvocatura, la politica deve anche compiere uno sforzo di umiltà?

Umiltà vuol dire ascoltare chi conosce i problemi da vicino, li osserva con i propri occhi ogni giorno. Anche nella fase politica che sta per concludersi, gli esempi virtuosi di intervento sulla giustizia sono quelli in cui il contributo tecnico dell’avvocatura è stato recepito in maniera giusta. Non si tratta, lo ribadisco anche in questo caso, di una pretesa rivendicativa. È chiaro che l’avvocatura deve tutelare se stessa, ma nel farlo si occupa innanzitutto dell’interesse generale.

L’impegno per l’ambiente e il diritto all’acqua può esserne considerato un esempio?

Nella parte che resta del mandato mio e dell’attuale Consiglio nazionale forense, ci sono obiettivi che riguardano la natura degli Ordini, l’avvocato in Costituzione e certamente anche la questione dell’ambiente, dei diritti che le sono connessi.

Presidente, lei ha sempre dedicato il suo impegno istituzionale anche alle pari opportunità. Garantirle significa attuare in pieno quella “giustizia con la persona al centro”, che guarda appunto ai bisogni di ogni singola persona nella sua diversità, anche di genere, su cui è concepita la vostra proposta per il Pnrr?

È una chiave interessante nella misura in cui la giustizia deve salvaguardare e contemplare tutte le differenze, quelle di genere e tutte le altre possibili. Compito della giustizia è superare le differenze che limitano l’accesso ai diritti, che si tratti di limiti reddituali o di altra natura. Ecco, la giustizia con la persona al centro deve essere così: deve avere la forza di non escludere nessuno.