L’AS 2419, “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, che vede come prima firmataria la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, e come cofirmatari gli onorevoli Jacopo Morrone (Lega), e Andrea Mandelli (Forza Italia), presentato il 25 giugno 2021, ha avuto fin dall’inizio un percorso travagliato, dimostrato anche dal fatto che alla Camera dei deputati l’attuale testo aveva assorbito 5 proposte di legge (AC 301, AC 1979, AC 2192, AC 2741, AC 3058), di cui le prime 3 presentate ognuna dai 3 cofirmatari dell’AS 2419 (che alla Camera aveva la sigla AC 3179), e i rimanenti da esponenti della Lega (Massimo Bitonci) e del Movimento 5 Stelle (Gianfranco Di Sarno). Nonostante la pluralità delle proposte, alla fine, con una difficile mediazione politica, che aveva permesso di superare non poche perplessità, segnalate in particolare dal Pd, si era arrivati ad approvare il testo alla Camera dei deputati il 13 ottobre 2021, e poi a passare il vaglio della commissione Giustizia al Senato il 29 giugno 2022, che aveva confermato il testo uscito dalla Camera (evitando così una terza lettura). Mancava quindi l’approvazione definitiva del testo da parte dell’aula del Senato, che era stata calendarizzata per il 20 luglio, ma proprio quel giorno la programmazione era stata stravolta, essendo intervenuta la necessità di fare chiarezza, dopo il venir meno del sostegno al governo, dichiarato pubblicamente dal M5S, che ha costretto Draghi ha illustrare la sua posizione, che ha portato poi all’ufficializzazione della sfiducia del Parlamento, determinata anche dalla decisione in tal senso di Forza Italia e della Lega. Al momento di mandare alla stampa quest’articolo, non è ancora noto se l’appello lanciato al centrosinistra dal sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto (in quota a Forza Italia), di approvare in extremis il Ddl sull’equo compenso, è stato raccolto dai destinatari (Pd e M5s).Richiamata l’evoluzione di una disciplina, che ancora non è effettiva (anche se i partiti di centrodestra hanno dichiarato che, in caso di loro vittoria alle elezioni, questo provvedimento verrà recuperato, e quindi promulgato), è il caso di analizzare le principali previsioni di questa norma, e di valutare con un esponente dell’avvocatura quali sono le effettive criticità, almeno per i professionisti legali, e quindi le aree di possibile miglioramento. A questo fine è il caso di cominciare con la stessa definizione di “Equo compenso”, che secondo l’art. 1 dell’AS 2419 è “La corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”, e che per gli avvocati, e gli altri ordini professionali, coincide con i compensi stabiliti dai decreti del ministero della Giustizia. Importante è anche l’ambito di applicazione di questa disciplina (art. 2), che è costituito dai “rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale, di cui all’art. 2230 c.c., regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative... e delle imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori, o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro”. Inoltre la disciplina si applica anche alle “prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”. Una parziale limitazione del principio è però introdotta dal comma 3 dell’art. 2, quando si afferma che “Gli agenti della riscossione garantiscono comunque, all’atto del conferimento dell’incarico professionale, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo conto, in ogni caso, dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta”. Fondamentale è poi l’art. 3, che illustra la conseguenza dell’implementazione del principio dell’equo compenso, ossia che “Sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera”, e indica al riguardo come riferimento i parametri remunerativi contenuti nei decreti ministeriali. L’art. 3 elenca poi tutta una serie di clausole, vessatorie per il professionista (come l’anticipazione delle spese, la possibilità di modificare unilateralmente il contratto da parte del committente, la richiesta di prestazioni aggiuntive in modo gratuito, la rinuncia al rimborso spese, ecc.), con l’importante precisazione (contenuta nel comma 4) che “La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto”. In ogni caso si consente al professionista di impugnare l’incarico non conforme alla disciplina dell’equo compenso (comma 5), e il giudice dovrà quindi applicare i parametri tariffari ministeriali (comma 6). Ma questo testo va bene così per l’avvocatura? O ci sono possibili aree di miglioramento? A queste domande ha risposto l’avvocato. Pierfrancesco Foschi, portavoce del gruppo di lavoro sull’equo compenso e sulla fiscalità dell’Ocf, che ha partecipato anche alle audizioni al Senato proprio durante l’iter legislativo dell’AS 2419.«Fermo restando l’appoggio dell’avvocatura per il Ddl sull’equo compenso, e tralasciando le osservazioni minori – ricorda Foschi – 2 punti di criticità di questo provvedimento sono stati evidenziati in una mozione, che è stata approvata al 94% all’ultimo congresso forense. Un primo punto, che potrebbe costituire un sensibile miglioramento della disciplina, è la sua estensione anche ai rapporti con qualsiasi committente, incluse le persone fisiche, e pertanto la disciplina potrebbe essere estesa anche ai rapporti endoprofessionali, come sono quelli tra avvocati, o anche tra professionisti appartenenti a specializzazioni diverse (ad esempio tra un commercialista e un avvocato). Infatti, non è raro che un professionista legale che riceve un incarico, conforme ai principi dell’equo compenso, si avvalga poi di suoi colleghi, magari situati in altre città, prevedendo per essi, pure per effetto della ripetitività delle attività, compensi inferiori a quelli previsti dai parametri forensi. La seconda area di miglioramento riguarda un tema delicato, che è stato anche oggetto di confronto politico, e mi riferisco all’art. 5, comma 5, in cui si prevede che gli ordini professionali devono adottare sanzioni nei confronti dei professionisti che non rispettano la disciplina dell’equo compenso, ossia, accettano compensi inferiori a quelli previsti. Pur condividendo le perplessità sul fatto che viene danneggiata la parte contrattuale debole, ossia il professionista che si trova ad accettare un compenso inferiore a quello dovuto, è vero però che un sistema sanzionatorio potrebbe svolgere una funzione deterrente per fenomeni di dumping professionale, fermo restando che va lasciata totale libertà di scelta agli ordini per quanto riguarda natura e modalità di applicazione della sanzione».