Sì, la legge sull’equo compenso ha avuto riverberi tellurici inconsueti: da vicenda normativa che sembrava destare l’interesse dei soli professionisti e dei pochi esponenti politici davvero consapevoli della questione, si è trasformata per qualche ora, la settimana scorsa, in epicentro della campagna elettorale. Con scarsi risultati, peraltro, almeno fino al momento di mandare in stampa questa edizione del Dubbio. C’è un precedente assai meno mediatico ma analogo è istruttivo: la riforma dell’avvocato in Costituzione. Nasce dall’iniziativa del Consiglio nazionale forense, è quindi tradotta in ddl di modifica della Carta nell’aprile del 2019, ma non è mai stata neppure esaminata dalla commissione Affari costituzionali del Senato. E non per trascurata indifferenza, ma per una dinamica assai simile a quella che ha paralizzato la legge sull’equo compenso: a un certo punto, l’avvocato in Costituzione ha cominciato ad essere percepito come un’iniziativa dell’allora guardasigilli Alfonso Bonafede. Cosicché gli altri partiti, e persino la Lega che in quella fase politica governava con il Movimento 5 Stelle, hanno preferito evitare che il ministro pentastellato potesse acquisire un così particolare trofeo. Tanto da ostacolare l’iter della riforma, poi definitivamente chiusa dall’emergenza pandemica nel 2020. Nulla di particolarmente diverso da quanto sembra essere avvenuto con la più recente legge sui compensi dei professionisti, bollata come un potenziale vanto del solo centrodestra, da cui provenivano le proposte di legge originarie, e quindi travolta da un demenziale vortice di controripicche in campagna elettorale. A dare impulso all’avvocato in Costituzione è il Cnf, soprattutto a partire da inizio 2018, cioè poche settimane dopo essere riuscito a ottenere dal Parlamento l’approvazione della prima disciplina sull’equo compenso, tuttora in vigore. All’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018 del Cnf, l’allora presidente Andrea Mascherin raduna attorno a una tavola rotonda giuristi del calibro di Flick, Cassano, Luciani e Spangher che, insieme con un altro presidente emerito del Cnf, Alpa, sostengono pur da posizioni diverse il “progetto di modifica costituzionale dell’art. 111 della Carta, mediante la previsione della libertà e autonomia dell’Avvocato e della necessità della difesa tecnica”. Passa poco più di un anno e, a inizio arile 2019, il ddl costituzionale è depositato in Parlamento. A firmarlo sono i capigruppo al Senato dei due partiti che in quel momento formano la maggioranza di governo: il pentastellato Stefano Patuanelli e il leghista Massimiliano Romeo. Il testo della riforma recita: «All’articolo 111 della Costituzione, dopo il secondo comma sono inseriti i seguenti: “Nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati. L’avvocato ha la funzione di garantire l’effettività della tutela dei diritti e il diritto inviolabile alla difesa. In casi tassativamente previsti dalla legge è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela giurisdizionale. L’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà, autonomia e indipendenza”» . Pochi giorni dopo, il presidente emerito della Cassazione Gianni Canzio, in un’intervista al Dubbio, esprime un importantissimo giudizio di approvazione sulla proposta di modifica costituzionale. Arriva persino a suggerirne una formulazione leggermente diversa: «Nel rispetto del rigore semantico, dello stile letterario della Costituzione e al fine di evitare uno squilibrio di peso fra le diverse articolazioni della mirabile architettura dell’articolo 111, la riforma, a mio avviso, potrebbe realizzarsi mediante l’innesto, alla fine del secondo comma, della seguente disposizione, densa nel contenuto ma leggera nella forma: “Salvo i casi espressamente previsti dalla legge, nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati, i quali, al fine di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, esercitano l’attività professionale in condizione di libertà e indipendenza” ». Bonafede non manca, in tutte le successive occasioni parlamentari, di invocare l’importanza della riforma, che anche gli altri partiti assicurano di considerare opportuna. La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ne segnala l’opportunità con interventi di grande efficacia. Ma i sospetti e le gelosie politiche soffocano tutto, finché non è l’emergenza covid a impedirne definitivamente ogni prospettiva. È chiaro che la pandemia ha imposto drammatiche e diverse priorità innanzitutto alla professione forense. Eppure, in un’intervista che apre quest’edizione del Dubbio, la presidente del Cnf Maria Masi fa notare come la riforma dell’avvocato in Costituzione sia tuttora necessaria, e che anzi può arricchirsi di ulteriori contenuti. Non si tratta solo di un’aspettativa della professione forense, ma di un possibile segno di pacificazione. Come è stato sempre sostenuto dal Cnf, il riconoscimento del rilievo costituzionale, della libertà e indipendenza dell’avvocato, sarebbe un contrafforte capace di consolidare ancor di più la stessa autonomia e indipendenza della magistratura. Con l’indicazione nella Carta della controparte tecnica degli avvocati, si allontanerebbe, per l’ordine giudiziario, l’ombra di una sempre possibile intrusione della politica. Ma una riforma del genere sancirebbe anche il ritrovato equilibrio fra i poteri e una rinnovata fiducia nelle istituzioni, nel sistema giudiziario innanzitutto. Suggellerebbe una riscoperta della centralità delle garanzie, di cui gli avvocati sono custodi. L’avvocato in Costituzione può forse essere considerato anche il culmine e l’approdo di un percorso, a questo punto, prima ancora che un doveroso riconoscimento per la professione forense. Ma nella possibilità che la politica colga davvero significati così forti, si metterà alla prova la maturazione del dibattito sulla giustizia. Di cui non si sono certo avuti segnali incoraggianti da questa campagna elettorale. Non si può escludere che quei passi avanti sulle garanzie, accennati nella legislatura appena conclusa, arrivino davvero. Ma stavolta, più che l’avvocatura a sollecitarli, dovrà essere la politica a mostrarsi in grado di compierli davvero.