Se stiamo alle parole ed agli impegni proclamati in queste settimane di campagna elettorale, dovremmo trovarci alla vigilia di un nuovo Parlamento in grado, numeri alla mano, di realizzare in un batter d’occhio alcune tra le più agognate riforme liberali della giustizia penale. Riassumiamo. La separazione delle carriere, cioè la madre di tutte le vere riforme del processo penale, sarebbe (stando alle parole di oggi) la priorità assoluta almeno dell’intero centrodestra oltre che, altrettanto certamente, dell’area liberale che fa riferimento a Calenda e Renzi. Vale a dire, sondaggi alla mano, una solida maggioranza assoluta in Parlamento, a prescindere dagli assetti di governo. Lo stesso vale per la inoppugnabilità delle sentenze di assoluzione. Meno chiara la situazione in tema di divieto o forte limitazione del distacco dei magistrati presso l’esecutivo e di ritorno alla prescrizione sostanziale. Quanto al CSM, tutti preannunciano riforme epocali, ma sono parole d’ordine generiche che non aiutano a comprenderne la direzione. Accontentiamoci, forti degli insegnamenti oraziani sul senso della misura. Intendiamoci, noi vogliamo e dobbiamo dare piena fiducia a questi espliciti, inequivocabili impegni elettorali. Ma siamo anche consapevoli, in primo luogo, di quali resistenze fortissime incontreranno queste belle idee riformatrici. Se qualcuno pensa, per capirci, che la magistratura italiana se ne starà li a guardare, umilmente rispettosa (come pure dovrebbe) della volontà popolare espressa in una elezione democratica, beh costui ha vissuto in un altro Paese in questi ultimi trent’anni. Se volete un assaggio, leggete cosa dice e scrive il dott. Scarpinato, ex magistrato, candidato blindato nelle liste dei 5 stelle. Le idee riformiste espresse in ogni sede dall’ex collega, candidato anch’egli, dott. Carlo Nordio, non sono, come sarebbe normale e legittimo sostenere, non condivisibili o socialmente dannose; sono addirittura incostituzionali, insomma grossomodo eversive. Dunque, occorre una politica forte, un Parlamento autenticamente indipendente, capace di rivendicare il primato della propria legittimazione democratica e popolare quale voluta dalla nostra Costituzione. Occorre una classe dirigente orgogliosamente consapevole di essere espressione di un potere (quello legislativo) che nasce dalla volontà popolare, a fronte di un potere -ma meglio sarebbe dire, un ordine- (quello giudiziario) che ha una derivazione puramente burocratica, ancorché di rango costituzionale. I precedenti non sono felicissimi. Quando il corpo elettorale, piaccia o no, elesse una larga maggioranza parlamentare sotto la guida di Silvio Berlusconi, pure si parlava di separazione delle carriere; con in più lo straordinario vantaggio di un referendum servito su un piatto d’argento dal glorioso partito radicale, e dunque pronto per essere plebiscitato dalla schiacciante maggioranza degli italiani. Ma Berlusconi, che guarda caso stava vivendo momenti giudiziari difficilissimi, inopinatamente invitò il proprio elettorato ad andare al mare, invece che a votare SÌ. Alla separazione delle carriere, disse, ci avrebbe pensato il Parlamento, forte in quel momento di una maggioranza prossima, se non ricordo male, al 60%. L’elettorato in buona parte seguì quello sciagurato invito del leader, e non si raggiunse il quorum (mentre tra i votanti il SÌ raggiunse percentuali prossime all’80%). Naturalmente, la separazione delle carriere fu definitivamente seppellita. La morale della favola è molto semplice. È un bene che le intenzioni riformatrici di una così larga fetta delle forze politiche in competizione mostri di avere ben compreso quale sia la strada obbligata di una autentica riforma della giustizia e del suo ordinamento costituzionale, resa cogente dal varo - oltre venti anni fa, ormai! - del nuovo art. 111 della Carta costituzionale, che ha definitivamente sancito la natura accusatoria del nostro processo penale. Ma in questo Paese, sui temi della Giustizia penale, le maggioranze non sono sufficienti, purtroppo. Occorre una Politica forte, indipendente, non intimidita; occorre impegnarsi, culturalmente ancor prima che programmaticamente, per un drastico riequilibrio tra poteri dello Stato. Occorre insomma che la Politica -di ogni colore- trovi la forza di rivendicare il proprio primato democratico. E qui, purtroppo, le buone intenzioni non bastano.