Anche il detenuto che ha svolto attività lavorativa per la casa circondariale, e all’interno della stessa oltre che alle dipendenze del Ministero della Giustizia, ha diritto a percepire la Naspi una volta concluso il rapporto lavorativo in ragione della fine dello stato di detenzione. Nonostante un forte indirizzo restrittivo dell’Inps, restio ad accogliere le domande presentate nell’interesse dei detenuti afferenti il diritto a percepire la indennità di disoccupazione, la Giurisprudenza apre sempre più ampi spiragli in merito nell’ottica di una equiparazione del lavoratore detenuto rispetto ad ogni altra categoria di lavoratori. Ultima innovativa pronuncia è quella emessa dal Tribunale di Milano, Sezione Lavoro e Previdenza, in persona del Giudice Dott.ssa Eleonora De Carlo, che con sentenza n. 1988/2022 ha riconosciuto il diritto di un ex detenuto, E.C. di origine romena, a percepire la Naspi relativamente alla attività lavorativa di addetto alle pulizie che lo stesso aveva prestato all’interno della Casa Circondariale di San Vittore dall’agosto 2019 al 16 dicembre 2021, momento di cessazione del rapporto lavorativo a causa del fine pena del soggetto, ristretto in ragione di svariati titoli esecutivi per reati come tentata rapina. Nonostante una prima istanza rigettata dall’Inps in sede amministrativa, il Tribunale di Milano, sulla scia di una giurisprudenza innovativa, ha accolto le istanze del legale dell’uomo, avvocato Eugenio Spadafora del foro di Cosenza, il quale ha fatto leva sulle necessaria equiparazione tra la figura del lavoratore detenuto, che deve considerarsi lavoratore subordinato a tutti gli effetti, ed ogni altro soggetto che al termine di un qualsiasi rapporto lavorativo si trovi in uno stato di disoccupazione involontario. Ed infatti la cessazione dello stato di detenzione non può essere affatto assimilata ad una cessazione del rapporto per volontà del lavoratore, circostanza questa che farebbe venir meno il diritto alla Naspi. Questo aspetto, unito alla considerazione secondo la quale si impone una lettura costituzionalmente orientata sia del rapporto di lavoro all’interno della struttura carceraria che della finalità rieducativa che va riconosciuta allo stesso, è stato fatto proprio dal Tribunale di Milano che, superando dei vetusti orientamenti, ha ammesso al beneficio l’uomo, in presenza ovviamente di tutti i requisiti necessari per l’accesso alla misura. «Se si negasse al lavoratore il trattamento di disoccupazione – si può leggere nella sentenza -, si impedirebbe proprio al lavoro penitenziario di espletare, con efficacia duratura nel tempo, quella finalità rieducativa e di reinserimento sociale che ne costituiscono invece l’essenza».