Le spiagge italiane? Bollenti e non solo per gli effetti del climate change. Il braccio di ferro tra Italia e Europa sulla direttiva Bolkestein – mandato ai supplementari dopo la moratoria decisa dal governo Draghi fino al 31 dicembre 2023 – lascia intravedere modi opposti di guardare a una grande risorsa del Paese – l’industria della recettività marina – e alla peculiarità del tessuto delle Pmi familiari. Quali saranno gli scenari futuri e quali i possibili punti di equilibrio giurisdizionale, economico e imprenditoriale? È questo il tema del convegno “Le concessioni demaniali marittime: una fine o un inizio?”, con il coordinamento scientifico dell’avvocata Cristina Lenoci, che si terrà a Maruggio- Campomarino ( Ta), il 16 e 17 settembre 2022, con giuristi e tecnici del settore, e con un dibattito finale tra amministratori locali, operatori del settore e rappresentanti del mondo giudiziario e accademico. Da tempo ormai, il legislatore italiano si era approcciato alle concessioni demaniali marittime e, in particolar modo, a quelle turistico- ricettive, cercando di salvaguardare quanto meno gli investimenti effettuati dal concessionario per offrire al pubblico la sua attività. Proprio per consentire al concessionario di “mettere a frutto” gli investimenti, nel 2018 e poi nel 2020, il Parlamento aveva ammesso l’utilizzo prolungato della concessione, mostrando attenzione non solo al mercato ma anche agli imprenditori che operano al suo interno. Anche nel settore portuale le concessioni demaniali marittime rappresentano una materia di rilevante attualità e in evoluzione, specie per la regolamentazione e la tassazione.

Recentemente l’approccio è cambiato nel dichiarato intento di sostenere lo sviluppo della concorrenza secondo i principi della “Bolkestein”. Così con la legge di conversione del “ddl Concorrenza”, il Parlamento ha previsto che le concessioni demaniali e i rapporti di gestione per finalità turistico, ricreative e sportive “continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023”, nonché sino a “non oltre il 31 dicembre 2024”, “in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023”. Il Parlamento ha anche però demandato al governo di predisporre, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi per riordinare e semplificare le concessioni demaniali marittime, attraverso la realizzazione del sistema informativo per la mappatura di tutte le concessioni pubbliche, oltre alla fissazione delle regole delle procedure di gara per l’affidamento delle nuove concessioni balneari ( regole che, tra l’altro, dovrebbero garantire una adeguata considerazione degli investimenti effettuati dai concessionari uscenti, nonché del valore aziendale dell'impresa e della professionalità acquisita nell’ambito della gestione delle strutture turistico- ricettive).

L’Unione europea invece, meno sensibile alle peculiarità e più orientata nel far valere le regole della evidenza pubblica, andando anche oltre alla tradizionale distinzione tra autorizzazioni e concessioni, assume che le concessioni vadano riaffidate a soggetti scelti all’esito di una procedura competitiva, caratterizzata da pubblicità e valutazione comparativa, escludendo la possibilità di proroghe per il concessionario uscente.

Ne consegue che solo Ragione vorrebbe che si consideri che soltanto il giusto mix dei principi di massima partecipazione e di affidamento potrebbe assicurare l’eliminazione di “abusi”, l’ottimizzazione delle procedure di affidamento e di gestione delle concessioni, il miglioramento dei servizi, il potenziamento delle capacità tecniche, con inevitabili positive ricadute economiche, scongiurando altresì l’incrinazione del rapporto di fiducia tra governati e governanti.

Una trasformazione importante, che molto si rifletterà sull’economia del turismo balneare italiano e su tutto quanto vi sta intorno, dalla recettività alla ristorazione. Il tema riguarda dunque non solo chi gestisce o chi andrà a gestire le spiagge italiane, ma tutta una consistente parte del settore turistico italiano. Si tratta allora, con l’attenzione che tutto questo merita, di comparare tra loro tutti quanti i fattori in gioco e di trovare tra loro i giusti e opportuni equilibri.

Il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha affrontato tale problema in modo innovativo anche rispetto a se stesso, sostenendo che “la direttiva 2006/ 123 deve essere considerata una direttiva di liberalizzazione, nel senso che è tesa ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e di servizio, garantendo l’implementazione del mercato interno e del principio concorrenziale ad esso sotteso: ‘ fissa disposizioni generali volte ad eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra i medesimi, al fine di contribuire alla realizzazione di un mercato interno dei servizi libero e concorrenziale?’” ( Adunanza Plenaria, 9 novembre 2021, n. 18). Ma è davvero così? Appuntamento il 16 settembre a Maruggio Campomarino.