Il “percorso” è imposto a un imputato di cui non è stata accertata la colpevolezza E il rischio di veder penalizzato chi si sottrae c’è: non basta che il testo rassicuri

Basta leggere. Ce lo ricorda, e per ben tre volte, dalle colonne di questo giornale un appassionato intervento in difesa della giustizia riparativa modello Cartabia ( per mutuare lo slogan promozionale con cui, nei mesi scorsi, si è andati magnificando il più ampio intervento sul penale che - forse- verrà).

Qualche ostinato custode del valore cognitivo del processo penale aveva osato, fin dall’approvazione della delega, obiettare sul progetto di non circoscrivere al momento esecutivo l’adozione di questo paternalistico modello di postdiritto: senza stabilire prima se l’ordine sociale è stato rotto dal reato, che cosa si dovrebbe riparare? Come ostacolo, si invocava addirittura la presunzione costituzionale di non colpevolezza ( una lettura agevole - appena dieci parole- quella dell’art. 27 comma 2 della Carta) e la sua non disponibilità.

Ebbene, quegli stessi custodi, così profondamente pervasi da una visione liberale del diritto penale e del processo, hanno manifestato critiche severe al prodotto finale di legislazione delegata. In particolare, a suscitare contrarietà è il novello art. 129 bis c. p. p. disegnato dallo schema di decreto legislativo approvato poche settimane orsono in Consiglio dei Ministri ( per inciso, sorprende il silenzio di costituzionalisti e politici circa l’etichettabilità come ‘ affari correnti’ di un intervento normativo che riscrive buona parte del Codice penale e di quello di rito. Il potere taumaturgico degli agognati fondi europei e degli obblighi autoimpostici col Pnrr pare declassare i dubbi ad onanismo giuridico).

Tre i bersagli: a) la possibilità per il giudice, anche senza aver acquisito il consenso dell’imputato, di inviarlo ad un Centro per l’avvio di un programma di giustizia riparativa; b) l’estensione al pubblico ministero dello stesso potere, nel corso delle indagini preliminari; c) le prospettive verosimilmente negative per chi, destinatario dell’ordine, si sottragga al percorso di recupero indicatogli dall’autorità giudiziaria.

Tutti a vuoto, secondo l’ardente replica agostana, che attribuisce il misunderstanding a carenza di spirito di geometria e refrattarietà alla lettura, sia pure da ombrellone o da sentiero alpestre. Sarebbe sfuggito, ai critici, che l’art. 43 dello schema prevede espressamente - tra i principi generali e obiettivi della giustizia riparativa- il consenso alla partecipazione ai programmi. E che l’art. 58 comma 2 stabilisce che la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli per il prevenuto.

Nulla da obiettare, circa l’effettiva esistenza di quelle note disposizioni.

Quanto alla prima - art. 43 e consenso- il tema è un altro: come conciliarla col disposto dell’art. 129 bis di nuovo conio? Siccome basta leggere, facciamolo pubblicamente: “In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio ( sott. ns.), l’invio dell’imputato… al centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia ripartiva».

Non si coglie un conflitto tra principi generali e prescrizioni di dettaglio? Concediamo che i commissari estensori nutrissero intenzioni diverse, ma – citando Cordero – il dato sarebbe irrilevante: «Non essendo la legge un testamento ( i cui interpreti puntano le sonde a quel che il de cuius aveva in mente, comunque l’abbia formulato), l’interno inespresso conta zero; le parole valgono nel più plausibile dei significati».

Quanto alla seconda, art. 58 comma 2, pur apprezzandosene il wishful thinking, da frequentatori di aule di giustizia ci si interroga scetticamente: mai visto sino ad oggidì negare generiche all’imputato assente? O “sanzionare” l’esercizio del diritto al silenzio? O penalizzare la mancanza di prestazione del consenso, in uno di quegli ormai troppi casi in cui la legge prevede scorciatoie negoziali sulla prova?

Il timore è che, in ogni caso, durante la fase di cognizione, il sottrarsi alla strada individuata unilateralmente nel programma riparativo, dal pm o dal giudice, pregiudichi lo svolgimento del successivo accertamento di responsabilità, secondo i canoni del giusto processo e della presunzione di innocenza.

 Avvocato e responsabile Centro studi Aldo Marongiu UCPI