Della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze, in questa campagna elettorale meno se ne parla e meglio sembra essere per tutti. Il terreno è minato, non c'è spazio per la propaganda facile. Non è un caso se la sola vera tensione riscontrata sin qui in una destra che per il resto si limita a punzecchiarsi è stata sulla guerra, con quei dubbi di Salvini sulle sanzioni contro la Russia che nel clima bellico di fatto dato suonano come bestemmia anche alle orecchie degli alleati. Senza contare le incursioni russe a sostegno della destra, che mandano in sollucchero il Pd, che può così accusare i rivali di putinismo esplicito o camuffato e consigliano alla destra in vantaggio di dribblare la spinosa questione. Oppure di limitarsi al catechismo del sostegno eterno alla causa di Kiev. Quella però, sia sul versante delle non disinteressate accuse che su quello dei proclami di fedeltà atlantica, è propaganda, non discussione politica ed elettorale sulla guerra e la crisi che ne consegue. Cioè sulla questione di gran lunga in testa a qualsiasi agenda politica oggi. Quel di cui si tace, o si parla solo per luoghi comuni e retorica, condiziona in realtà queste elezioni comunque, direttamente o indirettamente, più di ogni altra questione sbandierata dai leader. È così dall'inizio. Senza la guerra e dunque senza i dubbi che si sono addensati a torto o a ragione sulla incondizionata fedeltà di Conte alla Nato non si sarebbe arrivati alle urne con sei mesi almeno di anticipo, che nella situazione attuale sono un'eternità. Senza la guerra e senza lo schieramento del M5S contro l'invio delle armi all'Ucraina, vera origine della crisi, non si sarebbe rotto lo schema al quale lavoravano il Pd e Conte da tre anni e l'esito del voto sarebbe comunque stato molto più incerto e senza dubbio più equilibrato di quanto non sarà. Ma guerra vuol dire anche sanzioni e conseguente crisi economica innescata da quella energetica: crisi che sono probabilmente ancora lontane dal picco, che arriverà nei prossimi mesi, ma già condizionano le paure, le aspettative e dunque le scelte degli elettori molto più di tutto il resto.Grazie alla prevalenza netta del partito di Giorgia Meloni nella destra e nella scelta della leader di spostarsi sulla posizione più radicalmente atlantista i partiti maggiori, stilettate da comizio a parte, fingono che il cuore del problema sia il Movimento di Conte, circondato ormai da una sorta di cordone sanitario atlantista, del quale peraltro l'ex premier è ben contento. Proprio quell'anatema gli permetterà infatti, almeno nelle sue previsioni e nei auspici, di recuperare parte dei voti anti-sistema persi dai 5S in questi anni e di sfondare nel bacino dell'elettorato di sinistra contrario alla guerra.Solo che la parte di popolazione contraria all'atlantismo assoluto e all'invio delle armi è vasta, in buona parte vota a destra e radicalizzerà il dissenso via via che i morsi della crisi si faranno più dolorosi. Nell'elettorato del Pd, partito-establishment da un bel pezzo, il disagio della base sarà più contenuto. In quello della destra, il cui europeismo e anche in parte il cui atlantismo è molto meno radicato, invece crescerà con le bollette e la disoccupazione, anche perché un Salvini che non vede l'ora di rimontare lo svantaggio non esiterà a fare di quel dissenso la sua bandiera. Inoltre, a fronte di una crisi che la Ue non riesce ad affrontare con spirito unitario e strumenti efficaci, a differenza che nella crisi Covid, diventerà sempre più difficile l'equilibrismo al quale si sin qui affidata la leader di FdI: atlantista al 100 per cento ma sovranista in Europa. È una strada che sin qui è stata relativamente facile, soprattutto dai comodi spalti dell'opposizione, ma che potrebbe diventare molto più impervia se la crisi provocata dalla guerra si impennerà ulteriormente senza che Bruxelles riesca a mettere in campo politiche sovranazionali efficaci.La guerra ha portato al voto anticipato e condizionato tutto negli ultimi mesi. Sarà ancora sul banco di prova della guerra e della crisi che, dopo le elezioni, si verificheranno la tenuta unitaria della destra e dunque la rotta della prossima legislatura.