Proprio qualche giorno fa stavamo qui a difendere Giorgia Meloni da chi l’attaccava per un’intervista “mussoliniana” rilasciata 26 anni fa alla tv pubblica francese. Attaccarsi al passato della leader di Fratelli d’Italia ci sembrava un’operazione meschina e strumentale. Quasi a nascondere il vuoto e la povertà di argomenti con cui il centrosinistra sta affrontando questa campagna elettorale. Una scelta davvero poco lungimirante evocare lo spettro del fascismo. Anche perché il presente della candidata premier del centrodestra sembra molto, ma molto più inquietante del suo discutibile passato. Con la pubblicazione su Twitter e Facebook del video dello stupro di Piacenza commesso da un extracomunitario del Ghana Meloni ha varcato una nuova frontiera nel degrado del nostro dibattito politico. Forse neanche i media avrebbero dovuto renderlo pubblico ma in quel caso si tratta di un problema deontologico che oscilla tra diritto di cronaca e rispetto della privacy. Meloni invece ha letteralmente usato il corpo della vittima (una donna di 55 anni) come strumento di propaganda elettorale. Ha preso la sua carne viva e l’ha gettata nel tritatutto della propaganda per “dimostrare” quanto i migranti siano brutti, sporchi e cattivi. Difficile immaginare qualcosa di più basso e scellerato in una competizione politica, tanto più che a farlo è stata “una donna, una madre”. «Ma che volete, ho oscurato i volti!», ha provato a giustificarsi Meloni e non si capisce si ci fa o ci è, peccato però che l’audio dello stupro era perfettamente ascoltabile, le urla soffocate, il terrore, l’impotenza della vittime, tutto molto più raccapricciante delle immagini sfocate riprese da un telefonino nella notte. Neanche Matteo Salvini era arrivato a tanto, ma probabilmente perché non gli è mai venuta l’idea.