Da ieri nella rete circola un video del lontano 1996 in cui Giorgia Meloni, in un apprezzabile francese, sostiene che Benito Mussolini è stato un buon politico perché amava il suo paese. La leader di Fratelli d’Italia all’epoca aveva 19 anni ed era una giovanissima militante di Azione studentesca, il movimento giovanile di Alleanza Nazionale.

A 19 anni si dicono tante sciocchezze, alzi la mano chi non lo ha fatto; anche ( e soprattutto) nella nostra classe politica, quanti tra deputati, senatori, sindaci governatori e ministri, in gioventù sono scesi in piazza gonfi di ormoni gridando slogan violenti e ultra- radicali, alcuni anche commettendo reati gravi e subendo persino condanne penali. A destra come a sinistra. Rimproverare a Giorgia Meloni la breve intervista rilasciata a France 3 26 anni fa vuol dire non avere più argomenti seri per contrastarla se non l’allarme farlocco al “pericolo fascista”, una cantilena che ormai sembra svuotata di senso tanto suona a sproposito. E significa costruire la campagna elettorale per demolire il nemico, con il morboso rimestare nel passato, nella speranza di sollevare un po’ di fanghiglia e magari di scoprire imbarazzanti scheletri nell’armadietto di famiglia. Una campagna a tema, vuota di contenuti, che sconfina nel dossieraggio.

Come l’ “Inchiesta su M” che la Repubblica consacra alla nostra eroina ; da notare la finezza, M come il Mussolini di Antonio Scurati, o come il Mostro di Dusseldorf di Fritz Lang, tanto per alimentare la narrazione ansiogena attorno alla candidata del centrodestra che starebbe calando su Palazzo Chigi assieme con la sua orda fascio- barbarica.

Decine di articoli scritti dalle firme di punta del giornale ( naturalmente tutti uomini) racchiusi in un unico lunghissimo file presentato con il pedante occhiello “Longform” ( una specie di versione giornalistica dell’urticante slow food), inchiestone definitive sulle allarmanti “anime nere” che ruotano intorno alla galassia di Giorgia, sui nostalgici del Duce, sulle fantasie “orbaniane”, sulla cerchia degli amici ristretti che ancora oggi si chiamano con i nomignoli e soprannomi di quando erano giovani e forti, roba da teppaglia romana di periferia, un po’ come i protagonisti di Romanzo criminale.

Oltre al sarcasmo classista sulla ragazzotta di borgata, non potevano mancare le esaltanti incursioni nel gossip e nel bodyshaming, vera specialità della ditta di Largo Fochetti, che raccontano quanto da adolescente Giorgia fosse sovrappeso ( 65 chili ma per i nostri aspiranti al premio Pulitzer era una ragazzina «obesa» ) e quanto venisse bullizzata dai coetanei ( sarà per questo che è diventata cattiva come i villain dei film), poi l’amore sconsiderato per la Nutella che addirittura «mangiava con le mani».

Ormai è un filone letterario. Animato da autori intrepidi che non temono il senso del ridicolo. A pensarci bene il racconto potrebbe arricchirsi di altre clamorose rivelazioni, come Giorgia a 8 anni che schiaccia una lucertola, Giorgia a 10 anni che fa il saluto romano ai gabbiani, oppure Giorgia a 12 anni che entra al cinema senza pagare il biglietto, o Giorgia a 16 anni che risponde male ai professori.

In compenso sempre Repubblica ci ha lasciati senza parole con un altro sensazionale scoop: in gioventù Giorgia era una tifosa della Lazio. Capito? Lei che si professa romanista da sette generazioni in realtà sarebbe di fede calcistica biancoceleste, ulteriore prova di opportunismo e doppiezza. Lo hanno scoperto andando a ficcanasare in un vecchio sito web della fine degli anni 90, Undernet, in cui si faceva chiamare “draghetta”. Con avversari del genere è logico che la destra non abbia nemmeno bisogno di fare campagna elettorale, basta sedersi e aspettare il cadavere del nemico sul ciglio del fiume cosa che avverrà immancabilmente il prossimo 25 settembre.