Di questo Dmitrij Medvedev ancora al servizio di Vladimir Putin, che non sa più quali altri incarichi fargli ricoprire in Russia dopo averlo portato in alto come lui, non mi ha colpito tanto l’invito scontato dal suo punto di vista agli elettori «europei», per non dire direttamente italiani, già chiamati alle urne per il 25 settembre, a battere i loro governi stupidi, idioti e quant’altro. Mi ha colpito di più l’arretratezza della società alla quale egli è abituato, e dalla quale lui stesso e i suoi amici non hanno saputo farla uscire, quando ci ha minacciati di lasciarci in inverno con «le stufe spente e i frigoriferi vuoti» a furia di negarci i rifornimenti energetici.

Da tempo in Italia, caro il signor Medevdev, non ci scaldiamo più davanti alle vecchie, antiquate stufe. E i frigoriferi abbiamo imparato a spegnerli, risparmiando, se vuoti. A meno che Medvedev non volesse riferirsi alla capacità che hanno i russi, come hanno dimostrato in Ucraina bloccandone a lungo le esportazioni di grano, di affamare il prossimo. Tanto, la fame in Russia è sopravvissuta a tutti i regimi che si sono alternati, con o senza la falce, con o senza il martello., al di là naturalmente delle mura del Cremlino e delle dacie della nomenclatura di turno.

Dio mio, quanta fatica è stata sprecata nelle ore successive alla sortita di Medvedev nei palazzi della politica italiana per indignarsi delle sue parole, o fingere l’indignazione e sollecitare quella degli avversari o concorrenti, come hanno fatto, per esempio, il segretario del Pd parlando del centrodestra e il centrodestra parlando della sinistra alla quale Enrico Letta non ha saputo rinunciare, o il ministro degli Esteri Luigi Di Maio del suo ex partito. Che da qualche settimana lui chiama «il partito di Conte» : l’ex presidente del Consiglio che alla fine ha capito di non potersi sottrarre concedendo due aggettivi alla «intromissione» russa nella campagna elettorale italiana: «inopportuna» e «pericolosa».

Mamma mia, che paura debbono aver fatto non dico a Medvedevd, se mai gliene arriverà un’eco, ma ai solerti funzionari dell’ambasciata russa in Italia: magari quegli stessi che, secondo rivelazioni fatte da Di Maio, erano stati consultati nei mesi scorsi su una risoluzione parlamentare progettata dai senatori pentastellati per marcare le distanze dal governo, quindi dallo stesso Di Maio in quanto titolare della Farnesina, sulla guerra in Ucraina e sugli aiuti militari a Kiev. Una compromissione persino peggiore di quella giustamente contestata, per carità, a Matteo Salvini per quella smania di volare a Mosca con un biglietto aereo acquistato direttamente dall’ambasciata russa, per quanto rimborsato - di nuovo, per carit à- dopo la rinuncia al progetto in cosiddetta zona Cesarini.

Vogliamo dire la verità davvero in questa storia delle intromissioni, interferenze e quant’altro della Russia nella campagna elettorale italiana senza partecipare alla fiera delle ovvietà e attendersi chissà che cosa dal Copasir, il comitato parlamentare della sicurezza della Repubblica automobilitatosi con una dichiarazione del presidente di destra Adolfo Urso? Io francamente tutto questo scandalo non lo vedo nelle imprecazioni di Medvedev. È il minimo che ci si possa aspettare da uno come lui in questo passaggio indubbiamente difficile per tutti noi europei, e più in generale occidentali, ma ancor più drammatico - credo- per i russi a causa della imprudenza con la quale il loro governo, o regime, ha buttato giù la maschera di una politica internazionale aggressiva. Che nella migliore delle ipotesi, per loro, li porterà a rimorchio dei cinesi. Nei cui riguardi i sovietici erano un pò più prudenti di Putin, e Medvedev.

Ogni parola, ogni gesto russo contro Draghi non può che giovare al presidente ancora in carica del Consiglio dei ministri, sia pure per i cosiddetti affari correnti di un tempo di emergenze. Un presidente del Consiglio che ha voluto tenersi estraneo alla campagna elettorale sino a diffidare, praticamente, il ministero dell’Interno dall’ammettere un simbolo depositato a sua insaputa per rappresentare gli “Italiani con Draghi”. Ma egli continua ad essere il convitato o persino protagonista di pietra di questa eccezionale campagna elettorale anche per stagione e durata. Per la sua conferma, a dispetto di tutti i sondaggi favorevoli alla prima donna nella storia d’Italia che è arrivata realisticamente ad aspirare a Palazzo Chigi, cioè Giorgia Meloni, si batte ormai sempre più a viso aperto l’unica, vera novità di questa corsa, peraltro anticipata, alle urne: il cosiddetto terzo polo, che ha già compiuto il miracolo di mettere o rimettere insieme Carlo Calenda e Matteo Renzi.

«Il nostro obiettivo - ha dichiarato Calenda - è chiaro e semplice. Uno: andare avanti con l’agenda Draghi. Due: andare avanti con il metodo Draghi, quello del buon senso e del buon governo. E la capacità di dire dei sì e dei no in modo netto. E possibilmente avere Draghi come presidente del Consiglio». A dispetto anche di Medvedev, oltre che di quanti in Italia o non gli hanno mai dato la fiducia in Parlamento o gliel’hanno ritirata.