Mentre la campagna elettorale entra nel vivo, i partiti sono impegnati a studiare sondaggi e a limare le candidature prima di avviare le manovre in vista del prossimo 25 settembre. Quello che fu il campo largo studiato dal segretario nazionale del Pd Enrico Letta per fronteggiare il centrodestra è ormai evaporato. La rottura con Carlo Calenda ha fatto nascere un terzo polo di centro, restituendo linfa vitale a Matteo Renzi, il cui peso sarà tutto da valutare a urne chiuse.

A beneficiare della frantumazione a sinistra, dove anche i Cinque Stelle correranno da soli sotto la guida di Giuseppe Conte, dovrebbe essere il centrodestra che già discute di ministri e premiership. Giorgia Meloni, in particolare, che sente l’occasione quanto mai propizia per arrivare a guidare il prossimo esecutivo, sta procedendo a un maquillage di FdI per renderlo sempre più presentabile, atlantista e sdoganarlo da antichi pregiudizi. Ma gli equilibri appaiono assai precari, schiacciati dalla crisi economica e internazionale incombente, e resi ancora più incerti da una campagna elettorale atipica, estiva e brevissima. Il filosofo Massimo Cacciari fa il punto della situazione e azzarda un pronostico su quello che potrebbe avvenire una volta ultimate le operazioni elettorali.

Professore, il quadro di alleanze e candidature in vista delle elezioni è quasi ultimato. Come lo valuta?

Direi che non varrebbe neanche la pena parlarne. Il centrodestra, o meglio quell’accrocchio di partiti e leader, va tranquillo perché ha molti posti a disposizione e quindi è più facile trovare accordi e spartire i collegi. Maggiori difficoltà ci sono sicuramente dall’altra parte, a causa della riduzione del numero di deputati e senatori. Per come si sono messe le cose il centrosinistra rischia di perdere tutti i collegi uninominali e allora siamo costretti ad assistere alle corse di capi e capetti che cercano rifugio nel proporzionale per provare a tornare in Parlamento. Vedo grandi problemi, a prescindere dalla catastrofe determinata dalla linea politica di Letta e Calenda.

Sta parlando del fallimento del campo largo?

Campo larghino forse, che adesso è evaporato del tutto. Mi pare che adesso ci sia solo il Pd con accanto forze politiche prive di significato.

Di chi è la responsabilità di questo fallimento?

Non mi interessa stabilire di chi è la colpa, il risultato politico finale è sotto gli occhi di tutti. Credo, però, che per il Pd sarebbe stato necessario, una volta fallito il dialogo con i Cinquestelle, proseguire nell’alleanza al centro. Sarebbe stato utile per Enrico Letta mantenere il rapporto con Carlo Calenda, unica figura politica in grado di intercettare un po’ di consenso e di voti.

A urne chiuse crede che Enrico Letta possa pagare le scelte fin qui compiute?

Non credo proprio. Perché qualcuno paghi le proprie scelte occorre che ci sia un altro leader pronto a sostituirlo e non mi pare che ci troviamo in questa situazione.

Le scelte di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle come le giudica?

Era inevitabile che i Cinque Stelle esplodessero. Era evidente a tutti che una volta andati al governo si sarebbe determinata la rottura tra la parte governativa, che avrebbe tentato di restare il più a lungo possibile a gestire, e la parte movimentista, quella originaria. Inevitabile specialmente dopo anni di governo così difficile e costellati di decisioni impopolari.

Secondo lei Conte avrebbe potuto compiere qualche scelta diversa?

No, Conte non poteva fare niente di diverso. L’esplosione dei Cinque Stelle era scritta nei libri del destino.

La fuoriuscita dei governisti di Forza Italia rischia di indebolire l’area moderata del centrodestra?

Non credo. Mi pare che Forza Italia sia lì stabilmente con Salvini e Meloni. L’abbandono di alcuni soggetti non credo possa avere nessuna influenza su quello schieramento.

Dà per scontata la vittoria del centrodestra dunque?

A seconda del risultato che verrà fuori dalle urne sono molteplici gli scenari che si potranno verificare. In un primo caso il centrodestra potrebbe stravincere le elezioni e, quindi, dall’altra parte è augurabile che possa aprirsi un ragionamento strategico, serio e di portata storica sulla catastrofe di un’esperienza politica in modo da ripartire da zero. Non credo, pero, che questo sia uno scenario realistico. Mi pare molto più realistico pensare che si andrà ad uno scenario in cui il centrodestra vince e forma un governo con la presidenza di Giorgia Meloni, perché ormai sono costretti a presentarla come candidata unica al presidente Sergio Mattarella. A quel punto, se non dovesse esserci una maggioranza molto forte, si verificheranno grandi casini, pressioni internazionali e quant’altro. Ed è proprio questo lo scenario sui cui stanno lavorando Carlo Calenda e Matteo Renzi. Ma in realtà è quello che vogliono tutti, anche Giorgetti, Berlusconi e Letta. Si arriverà a un nuovo governo di salute pubblica, di unità nazionale in cui tornano in gioco tutti, anche gli sconfitti.

Servirebbe un nuovo Draghi però…

Ma che ci sia Mario Draghi o meno non cambia nulla. La partitura è questa. Poi un direttore d’orchestra, migliore o peggiore di Draghi, si troverà.

Il rischio di perdita di credibilità per il Paese in caso di vittoria di una destra che viene bollata da più parti come sovranista è reale?

Si tratta di pura demagogia, di pura retorica. Nessuno può essere sovranista. Sono soltanto stupidaggini, tutti i Paesi sono ormai a sovranità limitata. Se ne sta accorgendo anche la Russia di Vladimir Putin. Il resto sono solo chiacchiere, fumo negli occhi per gli idioti.