Politici e opinionisti lo avvertono a pelle. I sondaggisti confermano dati alla mano. L'antifascismo stavolta non tira. Le campane a distesa con il ritorno dell'orbace restano per lo più inascoltate. Non è questione di involuzione del Paese o di amnesia storica: è solo che a battere troppe volte sullo stesso tasto lo si logora. Nel 1994, dopo la vittoria di Berlusconi lo shock fu travolgente, un milione di persone sfilarono sotto la pioggia a Milano il 25 aprile. Il governo gialloverde suscitò un'ondata di panico a dir poco esagerata, fioccarono paragoni storici assurdi e quella temperie agevolò il lavoro di Conte che mirava a sganciarsi dalla Lega. Riprovarci per la terza volta è fuori discussione. Non funzionerebbe. Infatti chi agita quello spettro lo fa stancamente, quasi per obbligo burocratico.

Con i conti è un'altra storia. La vera prima linea dello scontro elettorale è quella. Renzi, che al solito è più lucido di molti, ha messo a fuoco per primo l'obiettivo: «In pericolo non è la democrazia: sono i conti pubblici». L'argomento è più sensato della chiamata alle armi contro “il fascismo eterno”, non è però altrettanto efficace e contundente. In parte perché gli elettori italiani sono tra i meno ingenui e prendono i programmi per quello che valgono: slogan elettorali, tutt'al più indicatori di una tendenza auspicata e nulla di più impegnativo. Dunque le promesse deflagranti non li seducono troppo ma neppure troppo li spaventano. In parte per una convinzione diffusa non solo nella popolazione ma in realtà anche ai vertici: la certezza che comunque i vincoli esterni siano tali da lasciare ai governi pochissima libertà d'azione, in particolare proprio sul fronte dell'economia. A colpi di mano tali da mettere davvero in pericolo “i conti pubblici” e dunque il rapporto con la Ue non ci crede quasi nessuno.

Non sono considerazioni farneticanti. I vincoli sono reali e stringenti. La strategia di Draghi, che è sempre quella del «pilota automatico», funzionerà almeno in larga misura anche stavolta. L'implementazione del Pnrr è stata guidata in fondo proprio da questa logica: tracciare un sentiero che chiunque si trovi al governo dovrà poi seguire. E tuttavia proprio su questo lato della scacchiera, molto più che non su quello della politica estera ( almeno in assenza di possibili e forse probabili fatti nuovi) promettono di concentrarsi le tensioni interne allo schieramento della destra. Alle quali è stata messa una sordina che resisterà per l'intera campagna elettorale ma che sarà impossibile far funzionare dopo la chiusura delle urne.

Le strategie di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sono infatti da questo punto di vista molto diverse e così i loro interessi. Il “populismo” del 2022 non è quello del 2018: non in Italia e neppure nel resto del mondo. Il Trump parla di sicurezza, carcere, ergastoli facili molto più che non dei temi sociali che agitava a metà del decennio scorso. Da noi la caratteristica del cosiddetto populismo leghista e pentastellato era proprio l'intreccio tra retorica securitaria e tentativo di fare propri i temi sociali abbandonati dal centrosinistra e in particolare del Pd. Nel 2022 la componente securitaria, repressiva, per molti versi reazionaria e per molti versi, dunque, molto più tradizionalmente “di destra” ha preso il sopravvento e FdI incarna questa temperie molto più degli alleati. Per Giorgia Meloni, che potrà vantare una crescita eccezionale nel giro di un paio d'anni, il problema sarà solidificare quel volatile consenso e assicurarsi la fiducia delle capitali occidentali. Non ha alcuna intenzione di sacrificare questi obiettivi strategici e di lungo respiro sull'altare di provvedimenti di facile presa progandistica ma ad alto rischio di delegittimazione internazionale.

L'interesse di Salvini, ma in parte anche di Berlusconi, è opposto: per recuperare consensi deve puntare sullo stesso mix del 2018, offrendo ai suoi elettori almeno alcune parziali riforme nella direzione promessa non solo in campagna elettorale ma da anni. Trattandosi di materiale esplosivo, data la prevedibile diffidenza e massima attea gli interessi divergenti della destra che probabilmente vincerà le elezioni potrebbe rivelarsi deflagnzione di Bruxelles, lo scarto e il conflitto trrante.