«Una politica che ignori il tema delle carceri è una politica inconsapevole del proprio ruolo nella società». Parola di Gennaro Migliore, ex sottosegretario alla Giustizia nei governi Renzi e Gentiloni e deputato di Italia Viva, che al Dubbio assicura: «Farò di tutto affinché questo tema sia centrale in campagna elettorale».

Ad agosto il numero di suicidi in carcere ha già superato quello del 2021. Ma la politica continua ad ignorare il carcere, tema che in campagna elettorale è sempre meglio tenere da parte per evitare di perdere voti.

È la storia di sempre. Ci ritroviamo alla fine delle legislature con dei rimpianti rispetto alle modifiche che dovevano essere fatte e che non sono andate a buon fine. La situazione, per detenuti e personale della polizia penitenziaria, oggi è complicata dall’invivibilità di molti istituti penitenziari. Sono preoccupato per quello che succederà nelle prossime settimane: in una visione molto chiusa dell’istituzione carceraria, come quella che propone Fratelli d’Italia, non c’è un’idea razionale su questo mondo. Noi, come espressione della cultura liberale, democratica e di quella che io definisco certamente la migliore cultura garantista, abbiamo un altro approccio, che faremo valere in campagna elettorale: non abbiamo paura di parlare di temi anche difficili, ma che rappresentano il barometro della civiltà di un Paese.

Quale potrebbe essere la ricetta per migliorare la situazione? C’è chi propone di costruire più carceri, ma questo, chiaramente, non risolve il problema.

Quando si parla di edilizia carceraria, innanzitutto, vorrei parlare dell’adeguamento - e se vogliamo della civilizzazione - dell’esistente. Nonostante gli sforzi, anche importanti in alcuni casi, c’è ancora un’edilizia basata più su intenti speculativi che rieducativi. Abbiamo tutta l’intenzione di rivendicare innanzitutto gli adeguamenti dei metri quadri a disposizione, ma anche, ad esempio, delle condizioni di climatizzazione. Quelli che dicono “buttate le chiavi” dovrebbero andarci un po’ più spesso in carcere, per vedere coi propri occhi le condizioni reali di vita. I detenuti sono costretti a subire una doppia pena. E non dobbiamo dimenticare la polizia penitenziaria. Bisogna valorizzare anche le competenze di chi, in questi anni, ha rappresentato un’innovazione in termini culturali. Ci sono stati brutti episodi, però è cresciuta la consapevolezza all’interno della polizia penitenziaria di essere un corpo che svolge un lavoro centralissimo da un punto di vista democratico. Penso poi che bisognerà andare nella direzione di un utilizzo della pena detentiva davvero come ultima ipotesi. Nel corso di questi anni, però, il carcere è stato visto erroneamente come una soluzione a problemi che, talvolta, sono più di propaganda politica che di reale esigenza securitaria: sia Salvini sia Meloni hanno speculato su questo in tante occasioni.

Parliamo dunque di misure alternative.

La riduzione del numero delle persone in carcere è l’aspetto più importante, anche perché per molti non è necessario. A ciò si aggiunge il numero impressionante di persone che sono state detenute ingiustamente e per le quali paghiamo fior di milioni di euro di risarcimento. Privare della libertà una persona, però, non può essere monetizzabile ed è un enorme sacrificio dal punto di vista della democrazia di un Paese. Servono investimenti per le misure alternative, ma, soprattutto, un’interpretazione diversa delle norme. La Costituzione è molto chiara in materia e sostiene che la detenzione è una delle pene possibili. L’articolo 27 è tutto rivolto alla costruzione di uno spazio diverso della pena, a cui assegna una finalità rieducativa.

I casi di suicidio raccontano anche di un disagio che non viene intercettato, probabilmente perché non ci sono le competenze necessarie per farlo. Come si interviene?

Da quando il sistema sanitario è passato dall’amministra-zione della Giustizia al sistema ordinario c’è stata più di qualche resistenza a concepire la sanità penitenziaria come un elemento centrale. I suicidi sono delle tragedie incredibili, ma non sono che la punta dell’iceberg di fenomeni di autolesionismo e depressione, che producono anche maggiori rischi per la sicurezza: non credo che in questi casi la condizione detentiva porti ad un più facile reinserimento. Ci sono degli elementi che devono essere considerati anche pragmaticamente come essenziali, anche per coloro i quali hanno più attenzione per il fronte securitario rispetto ai diritti delle persone.

Sarebbe utile affidare il Dap a figure estranee alla magistratura, con adeguate competenze in materia?

L’amministrazione penitenziaria dovrebbe prevedere un mix di competenze ed è chiaro che quella dei magistrati sia fondamentale su un terreno che è prioritariamente quello della giustizia penale. Considero più produttiva, però, un’esperienza che provenga dal mondo della magistratura di sorveglianza piuttosto che quella di una magistratura inquirente.

Il caso di Donatella, la 27enne suicida a Verona, ha risvegliato l’interesse dell’opinione pubblica. Ci sarà uno scossone anche per la politica?

Io spero che la nostra campagna elettorale si caratterizzi molto per questi temi, perché vogliamo rappresentare davvero il polo riformatore. Quello del carcere è un test e spero che se ne parli molto, con la consapevolezza che siamo di fronte ad una situazione rispetto alla quale tirarsi indietro è essere anche inconsapevoli del proprio ruolo nella società.