Giovanni Orsina, direttore della Luiss- School of Government, spiega che l’epilogo dell’alleanza con Calenda ha reso evidente una frattura politica interna al Pd, da sempre diviso tra una parte che vuole l’alleanza con il Movimento 5 Stelle e un’altra che lo considera appena poco meglio della Lega».

Direttore Orsina, cosa ha portato alla frattura nel centrosinistra?

L’epilogo dell’alleanza con Calenda ha reso evidente una frattura politica interna al Pd, da sempre diviso tra una parte che vuole l’alleanza con il Movimento 5 Stelle e un’altra che lo considera appena poco meglio della Lega. Questa ambiguità ci perseguita dal 2019, da quando, col governo giallorosso, l’ipotesi dell’alleanza coi grillini si è irrobustita, sostenuta anche dall’allora segretario del partito Zingaretti. In definitiva, questa doppia anima del Pd, che Letta è stato capace di contenere tramite il sostegno al governo Draghi, è riemersa oggi in tutta la sua evidenza.

Quindi crede che sia stato il Pd, o comunque una parte di esso, a spingere Calenda fuori dalla coalizione?

Dico solo che nel momento in cui bisogna fare delle alleanze, questa ambiguità non poteva che riesplodere. Poi è vero che l’alleanza con il Movimento 5 Stelle è stata esclusa, ma ne è rimasta una sorta di eco in quella con una sinistra che è stata ancora più contraria a Draghi. A quel punto ha ragione Calenda a dire che tanto valeva tenere dentro anche Conte.

Sta dicendo che Letta ha fatto la scelta sbagliata?

Da quanto tempo diciamo che, se non fosse cambiato il sistema elettorale, prima o poi Letta avrebbe dovuto scegliere tra Calenda e Renzi da un lato, e Conte, Bonelli e Fratoianni dall’altro? Poteva o andare tutto da una parte, l’una o l’altra: avrebbe perso i voti dell’altra parte, avrebbe avuto forti tensioni nel partito, ma avrebbe avuto il vantaggio della chiarezza politica. Oppure poteva provare a tenere tutti insieme, massimizzando sia i voti sia l’ambiguità. Alla fine, con +Europa da un lato e le sinistre dall’altro, ha avuto il peggio delle due opzioni: pochi voti come se fosse andato da una parte sola, e tanta ambiguità come se si fossero messi tutti insieme. L’unico vantaggio è che tutte le anime del partito hanno avuto qualcosa.

Ma non è Calenda a essere ambiguo, visto che si è rimangiato un patto firmato solo pochi giorni prima?

Quando parlo di ambiguità del Pd intendo dire che dovrà essere per forza ambiguo durante questa campagna elettorale. Non potrà più di tanto puntare sull’agenda Draghi o far campagna sulla fedeltà alla Nato, visto che Fratoianni è stato all’opposizione di Draghi e ha votato contro l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica. L’unica possibilità per il Pd è che il centrodestra vinca, ma senza maggioranza. A quel punto si riaprirebbero tutti i giochi e si riaprirebbe lo spazio anche per Renzi e Calenda.

A proposito, pensa che l’evoluzione naturale dei giochi preveda un terzo polo centrista?

A questo punto credo di sì, ma la mia impressione è che questo polo Renzi- Calenda, sempre che parta, difficilmente possa superare un 7- 8 per cento. Che è un risultato non malvagio, ma nemmeno ottimo. E non sufficiente a mettere in pericolo la vittoria della destra.

Quindi non crede alla strategia Ross Perot, in cui il terzo polo finisce per avvantaggiare il centrosinistra, togliendo voti al centrodestra?

Diciamo che questa cosa del terzo polo è cominciata molto male. L’immagine di Calenda non esce bene da questa vicenda, anche se è pure vero che è estate e che di queste dinamiche agli italiani interessa poco. Insomma: magari Calenda sarà in grado di far dimenticare tutto, ma, a un elettore di centrodestra, già il fatto che abbia preso in considerazione l’ipotesi di allearsi con il Pd lo mette di malumore.

Pensa che Meloni, Salvini e Berlusconi abbiano dunque la vittoria in pugno?

L’elettorato italiano è così fluido e indeciso, l’incertezza ancora così diffusa, che ritengo sia tutto ancora possibile. Certo, l’esordio del centrosinistra è stato debolissimo da tutti i punti di vista. Ma c’è una quantità importante di elettori che non ha deciso e c’è una campagna elettorale da fare, con sorprese di tutti i tipi dietro l’angolo. Sappiamo ad esempio che una quota importante di elettorato decide nelle ultime 24 ore. Chissà che cosa potrà succedere nelle prossime settimane, e poi a ridosso del voto?

Il centrosinistra dice che c’è addirittura il pericolo che il centrodestra ottenga la maggioranza di due terzi dei seggi, necessaria a cambiare la Costituzione senza passare per il referendum…

Mah. Mi sembra un altro spin del centrosinistra, che lo utilizza (legittimamente, s’intende) per giustificare le alleanze e fare propaganda. Mi pare molto improbabile, ci vorrebbe davvero un trionfo del centrodestra. E poi, pure fosse? Io ho fiducia nella fibra democratica dell’Italia.

Diciamo che dipende dalla maniera in cui la cambierebbero…

Questo è evidente, non sto mica dicendo che una situazione del genere sarebbe irrilevante né che non sia necessario vigilare. Dico solo che non se ne può più dell’isteria della nostra sfera pubblica: a ogni piè sospinto c’è una deriva autoritaria, i barbari bivaccano in permanenza davanti alle porte e siamo sempre sull’orlo del collasso. Ma basta! Come detto: il tema della riforma costituzionale del centrodestra serve al Pd per giustificare l’alleanza con Fratoianni. Ma se si tratta di difendere la Carta del 1948, allora come si fa a escludere Conte?

Perché secondo lei, tra Fratoianni e Calenda, il Pd ha scelto il primo?

Ma il Pd ha provato a tenerli entrambi. Letta ha aperto a Fratoianni per le ragioni che dicevo sopra, perché deve rendere conto a una buona parte del partito. Se ti allei solo con Conte e Fratoianni ti esplodono i centristi, se ti allei solo con Renzi e Calenda ti si ribella la sinistra. Del resto il primo M5S, quello che fece l’exploit nel 2013, non era affatto estraneo a certe tradizioni della sinistra italiana: giustizialismo, ambientalismo, estremismo, moralismo, antiamericanismo. Il Pd è stato, ed è, anche questo.