Qualcuno ha persino avuto il coraggio di chiamarla “cosa rossa”, rianimando vecchi spettri. Che tornano in forma di farsa naturalmente. Stiamo parlando della pazza idea di trasformare quel che rimane dei Cinque stelle in un partito, anzi, “nel” partito della sinistra radicale italiana. Una metamorfosi in vitro con la guida ispirata dell’avvocato del popolo Giuseppe Conte. Il modello è il francese Jean Luc Mélenchon, leader della France Insoumise che ha portato la gauche de la gauche oltre il 20%, prosciugando da sinistra l’elettorato del Ps ( da destra ci ha pensato Macron). Facile no?

È vero che l’ex premier pentastellato è il Fregoli della politica italiana, duttile come la creta e talentuoso trasformista, è stato capace con la stessa aria mite e disinvolta di governare con Matteo Salvini ed Enrico Letta, di firmare i decreti sicurezza sull’immigrazione con il governo gialloverde per poi cancellarli pochi mesi dopo con il governo giallorosso. Conte 1 contro Conte 2, sembra uno scioglilingua, fastidioso e indecifrabile come la sua linea ondivaga. Lui di certo non avrebbe alcun problema nel condurre la nuova creatura nell’arena elettorale, portando con sé l’Unione Popolare ( il cartello di De Magistris che aggrega Rifondazione comunista e Potere al popolo) assieme ad altri elettroni liberi della sinistra italiana come Pierluigi Bersani e Michele Santoro. Il giornalista è peraltro tra gli sponsor più attivi dell’ennesima metamorfosi di Giuseppe Conte e, ora che ha fatto cadere il governo Draghi, si dice disposto a «collaborare».

A sinistra del Pd, invece, nel corso degli anni da politico lo smarrimento è diventato quasi esistenziale. Assenti dal parlamento, assenti dal mondo del lavoro e dai movimenti. Per tornare a contare qualcosa sarebbero disposti anche a far patti con il diavolo, figuriamoci se non lo farebbero con il signor Conte.

Quindi la “cosa rossa” evocata in questi giorni è un’operazione del tutto possibile. Il paragone con Mélenchon però risparmiamocelo perché risulta davvero impietoso: l’accozzaglia post- grillina che si profila all’orizzonte non ha nulla a che vedere con la vitalità della France insoumise. A cominciare dal suo leader, un uomo colto e carismatico che da anni propone un’alternativa di sinistra al macronismo, che è stato capace di togliere a Marine Le Penil monopolio dell’opposizione sociale, di riportare a casa milioni di elettori delusi, di diventare il candidato più votato tra i giovani di meno di trent’ anni. E di schierarsi nettamente con la resistenza ucraina e contro il «fascismo di Putin» che denuncia fin dai tempi delle guerre in Cecenia e in Siria.

Da noi invece la sinistra radicale è un patchwork di sigle ed ex capi e capetti in cerca d’autore, autoreferenziali e litigiosi, scollati dalla realtà, dal mondo del lavoro, dal sindacalismo, dai movimenti studenteschi e ambientalisti, da qualsiasi forma di innovazione e fermento culturale. Che in 15 anni di assenza dal Parlamento non è mai stata in grado di fare autocritica e oggi si ritrova a baciare l’ennesimo rospo. In fondo il matrimonio di interesse tra questi reduci viziati e il trasformista Giuseppe Conte sarebbe la fine che meritano entrambi.