La “cosa rossa” comincia a diventare un incubo per il front-man Enrico Letta. La direzione nazionale del Pd è andata avanti lungo la linea indicata con fermezza dal segretario: nessuna alleanza è più possibile con i Cinque Stelle dopo la crisi del governo Draghi. E, dunque, apertura massima nei confronti della melassa centrista e di Carlo Calenda in particolare che già avanza veti e proposte per la leadership di una futura coalizione che, per molti, comincia a somigliare in maniera pericolosa alla defunta Unione.

Eppure, dietro al pieno consenso alla direzione imboccata dai dem, si intravedono già le prime crepe. In molti, soprattutto nella componente ex Ds, tra il fascino della “cosa rossa” di Conte e l’Agenda Draghi di stampo liberale, saprebbero benissimo cosa scegliere. Altri temono che la decisione di Letta di rinnegare la vecchia alleanza giallorossa, che ancora governa in molte Regioni e Comuni italiani e ha appena svolto le primarie in Sicilia, potrebbe liberare in favore di Conte spazi infiniti a sinistra.

Sul possibile sbandamento del Pd verso il centro del resto si sono registrati interventi assai significativi durante la direzione nazionale del partito. Il ministro del Lavoro Andra Orlando ha chiaramente ammonito: «Dobbiamo costruire un sistema di alleanze che però non entri in contraddizione con il messaggio che vogliamo dare». E il concetto è stato ribadito anche da Matteo Orfini: «Bisogna ponderare bene le alleanze».

L’idea di un’alleanza tecnica, così come viene definita, quella che dovrebbe chiudersi con Azione di Calenda, insomma, comincia a far tremare i polsi alla componente “sinistra” del Pd. Ed ha già scatenato le danze delle liste di sinistra con Nicola Fratoianni e Pier Luigi Bersani che hanno già saputo toccare tutti i tasti necessari per fare in modo che il focolaio del malessere interno al Pd possa esplodere nei prossimi giorni.

Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, che sta mettendo a punto una lista con Europa Verde di Angelo Bonelli, si proietta oltre Calenda e vede nella linea Letta la possibilità di scavalcare i confini del centro fino ad arrivare al dialogo anche con i governisti appena fuoriusciti da Forza Italia. «Non farò strada con Gelmini e Brunetta» ha detto candidamente Fratoianni strizzando l’occhio ai Cinque Stelle.

Ma la puntura più efficace arriva da Pier Luigi Bersani che il Pd lo conosce bene e sa come fare impazzire la sua maionese interna. «Basta fatwe con i 5s, finirà che ce ne pentiremo - ha spiegato Bersani intervistato da La7 - Una destra che ha litigato per due anni si è trovato un giorno a una colazione e si è messo d’accordo. E noi? Non ci abbiamo nemmeno provato e non aver fatto alcun tentativo è la cosa per cui saremo rimproverati. È vero che con i Cinquestelle ci sono differenze, ma abbiamo anche tante sovrapposizioni». Il deputato di Leu ha ricordato come la sinistra stia governando con successo a Napoli o Bologna.

«Vogliamo rinunciare a tutto questo? Ricordiamoci una cosa - ha aggiunto - se c'è una speranza di recuperare qualche voto nel popolo che si astiene è difficile cercarlo a destra dove dobbiamo tirarci una coperta molto corta e dove comunque la destra vince. Dovremmo invece provare a investire in una piattaforma sociale che mette insieme elementi di radicalità e razionalità, partendo dalla dignità del lavoro. Non mi piace quando ce la prendiamo con i populismi, come se il popolo non dovesse c’entrare nella politica. Dovremmo prendercela con la demagogia, solo con quella, perché è prerogativa delle elite».

Musica per le orecchie di Giuseppe Conte che alla “cosa rossa” sta lavorando alacremente, sfruttando lo spazio che proprio il Pd sta creando, come da tradizione, alla sua sinistra per poi fallire nella rincorsa infinita verso un centro moderato che mai ha preso piede da quando esiste il bipolarismo.

La decisione di Letta, dunque, da un lato ha innescato i malumori della componente ex Ds della direzione, ma sta mettendo in agitazione anche diverse Giunte regionali, a partire da quella di Nicola Zingaretti nel Lazio che con i Cinquestelle continua a governare e che, sostenendo la linea Letta, adesso rischia di aprire una crisi nella sua giunta dove sono ben due gli assessori pentastellati. «E sui territori cosa succederà? L’alleanza che non va bene a livello nazionale proseguirà per gli altri livelli di elezione?» è la domanda che si pone l’ala sinistra del Pd che guarda con terrore al possibile terzo polo progressista o cosa rossa che dir si voglia. “Letta dì qualcosa di sinistra” potrebbe essere il mantra dei prossimi giorni.