La deputata di Italia Viva Flora Frate interroga la ministra Marta Cartabia sulla gestione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati da parte dell’ex procuratore generale Giovanni Salvi. Una gestione che avrebbe generato - a dire dei magistrati di Articolo 101, la corrente “dissidente” delle toghe, e Autonomia & Indipendenza - due pesi e due misure nella valutazione delle toghe coinvolte nelle chat con Luca Palamara, ex consigliere del Csm, radiato dalla magistratura dopo lo scandalo della cena all’Hotel Champagne. Dalla quale emerse l’esistenza di un “sistema” di cui avrebbero fatto parte in tanti, a dire dello stesso ex zar delle nomine, ma per il quale a pagare sono stati in pochi. Ora, a volerci vedere chiaro, prendendo spunto dal documento inviato dall’ex sostituto procuratore generale della Cassazione Rosario Russo ai vertici delle istituzioni e reso noto dal Foglio, è anche la deputata renziana, secondo cui Salvi - ormai però in pensione - avrebbe «statuito tramite circolare cosa è configurabile come illecito, nonostante solo la legge, la giurisprudenza delle Sezioni unite o al limite il Consiglio superiore della magistratura, ex articolo 105 della Costituzione, possono stabilirlo».

Ma non solo: le circolari dell’ex pg sarebbero «in conflitto di interesse, poiché da numerosi articoli di stampa emerge che il dottor Salvi si sarebbe in più occasioni autopromosso per l'incarico di procuratore generale presso la Corte di Cassazione con il presidente della quinta commissione del Consiglio superiore della magistratura», ovvero proprio Palamara, all’epoca gestore indiscusso delle nomine, dal quale le toghe si recavano per questuare i posti desiderati. Tutto ruota attorno alle famose regole stabilite da Salvi, sulle quali anche i 101 e A& I hanno tentato di fare chiarezza in seno all’Anm presentando diverse mozioni rimaste però inascoltate.

La prima è quella firmata dall’allora pg, dal suo braccio destro e ora “erede” Luigi Salvato e dall’allora avvocato generale Piero Gaeta, che escludeva l’attività di autopromozione dall’alveo dei comportamenti disciplinarmente rilevanti. Una scelta che fece molto discutere, dal momento che i loro tre nomi erano ricorrenti nelle chat di Palamara. In particolare, l’ex toga aveva raccontato nel suo libro “Il Sistema” che lo stesso Salvi avrebbe caldeggiato la propria nomina a pg, circostanza che spinse 97 magistrati a chiedere pubblicamente le sue dimissioni nel caso in cui non avesse smentito Palamara. La smentita è arrivata però soltanto dopo il suo pensionamento in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, con la quale ha annunciato querela nei confronti di Palamara e Alessandro Sallusti, autori del libro incriminato. Un annuncio che ha suscitato la reazione dell’ex toga, decisa a sua volta a sfidare Salvi in tribunale. Ma non si tratta dell'unico atto che, secondo i critici, avrebbe condizionato la gestione degli illeciti nello scandalo toghe: il pg ha adottato anche una seconda circolare, che salva anche coloro che si sono macchiati di «condotte scorrette gravi» : l’illecito disciplinare, si legge infatti, può «risultare non configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza». E sulle pratiche archiviate è stato apposto un sigillo di segretezza che rende impossibile conoscere le motivazioni. In questo modo, dunque, sono stati diversi i magistrati graziati senza che ciò fosse reso noto, mentre a gisunti traditori del giuramento di fedeltà alla Costituzione sono stati diversi personaggi coinvolti, in un modo o nell’altro, nelle vicende che hanno destato scandalo. Un circolo vizioso che, alla fine, ha prodotto solo un’enorme confusione.

Tutti questi elementi, secondo Frate, rischiano di appannare ulteriormente la credibilità della magistratura, che ha trovato in Palamara e negli altri consiglieri del Csm presenti all’Hotel Champagne i capri espiatori ideali. E ciò, secondo l’ex sostituto procuratore generale della Cassazione Russo, proprio grazie alle regole di Salvi, che avrebbero «consentito che si realizzasse un'amnistia di fatto per tanti magistrati coinvolti nello scandalo Palamara, e anche che su questa amnistia calasse una coltre impenetrabile di segretezza».

La deputata si rivolge dunque alla Guardasigilli, titolare, assieme al pg della Cassazione, del potere disciplinare, chiedendo «quali siano state le iniziative disciplinari e/o informative assunte dal ministro», nonché «quali effetti si ricolleghino alle citate circolari con riferimento ai poteri» della stessa Cartabia, in particolare in relazione alla possibilità «di non analizzare ogni singola condotta potenzialmente illecita, ma ricorrere a una sorta di archiviazione preventiva generalizzata, nonché della possibilità di distinguere tra la gravità della condotta specifica e la rilevanza del fatto concreto».

Ma quel che interessa è anche capire se ci sia stata qualche comunicazione delle archiviazioni secretate, che di fatto hanno coperto buona parte dello scandalo. Il tutto sulla base di regole che, secondo le toghe di 101, sarebbe in «contrasto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia», dal momento che la sentenza delle Sezioni Unite n. 741/ 2020 «ha chiaramente ricondotto la cosiddetta autopromozione nell’alveo dei “comportamenti abitualmente e gravemente scorretti” di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) del dlgs 109 del 2006».