Non è stata un'esplosione politica come tante ce ne sono state nella storia di questo Paese. La crisi imprevista e improvvisa del governo Draghi obbliga a ridisegnare tutte le mappe della politica a sinistra del polo di centrodestra che ha sì l'eterno problema della premiership ma può rinviare a dopo le elezioni quando a dettare legge saranno non i sondaggi ma i dati reali, intesi non solo come chi prende un voto in più ma anche chi ha maggiore libertà e possibilità di muoversi a tutto campo facendo valere la politica dei due o più forni come arma di condizionamento e ricatto. Ma questa è la destra, il cui solo dubbio può essere se a Lega e Fi convenga presentare una lista unitaria approntata sui due piedi e allo stato degli atti nessuno sembrare vogare in quella direzione. Ma dai centristi in poi, veleggiando verso la sinistra, è il caos. La frana ha travolto il campo largo di Letta, che già era per la verità piuttosto stretto. I 5S non sono ancora rassegnati. Sperano in un ripensamento. Contano nell'unguento del tempo, anche se stavolta è troppo poco perché il balsamo possa funzionare. Soprattutto puntano sull'impossibilità per il partito di Letta di affrontare da solo la sfida nei collegi maggioritari, che sarebbe a quel punto più che impari. Il problema c'è ed è enorme. Letta, in perfetta coerenza con la linea adottata da oltre un anno, identificazione completa tra Nazareno e governo Draghi, ha già iniziato a sventolare la bandiera del Drago, proponendosi come unico legittimo erede di quell'esperienza bruscamente troncata a metà e come ammiraglia di una flotta tenuta insieme proprio dal nome di Draghi. Il problema è che il nome senza la cosa, senza l'uomo, è un po' poco e, come ironizza l'ormai ex senatore forzista ed ex direttore del QN Andrea Cangini, «un collante senza la colla funziona poco». Sulla carta la possibilità di un fronte centrista unito e poi coalizzato con il Nazareno ci sarebbe però solo sulla carta. Calenda, che mira ad affermarsi come sola vera forza centrista, vuol correre da solo e mira addirittura a un clamoroso 10 per cento. Tenere insieme nella stessa lista tutti gli altri, da Renzi a Di Maio agli orfani di Arcore non sembra un traguardo realistico e probabilmente non lo è. D'altra parte l'idea di tornare all'accordo con i 5S presenta aspetti troppo surreali persino per la politica italiana: si tratterebbe di andare alle elezioni con la bandiera della agenda di Draghi ma a braccetto con chi a torto o a ragione appare come il killer di Draghi e come tale viene peraltro indicato dallo stesso Pd. Vicolo cieco. La via d'uscita alla quale sta pensando Letta si chiama lista unica. Si tratterebbe di aprire le liste del Pd non solo ai fuoriusciti di Art. 1, come il ministro Speranza, ma a tutte le forze centriste disposte a convergere su un programma che ridotto all'osso sarebbe quello del governo Draghi con in più la difesa dei diritti civili. Sufficientemente generico per poter essere accettato da molti se non da tutti. Anche da solo, forte della spinta emotiva prodotta dalla caduta di Draghi, il Pd avrebbe buone chances di imporsi come primo partito. Il listone aperto renderebbe quel risultato molto più a portata di mano. Nei collegi maggioritari la lista si ritroverebbe in coalizione con Calenda da un lato e con la lista rossoverde, il Cocomero, sul versante sinistro. In questo modo Letta avrebbe forti e reali probabilità di affermare la sua lista come la più votata e ottenere così l'incarico dal capo dello Stato. Il primo incarico è sempre una posizione vantaggiosa però mai come stavolta perché l'incaricato, con risultati non abbastanza netti e inequivocabili, avrebbe una possibilità di manovra quasi illimitata. Se la scelta del Pd sarà questa sono prevedibili alcune possibili ripercussioni di notevole peso anche sulle altre aree politiche: i 5S smetterebbero di inseguire la chimera del risorto campo largo e tenterebbero di dar vita a una coalizione di non allineati, con De Magistris, Santoro ecc. Non è escluso che anche Fi e Lega, a quel punto, decidano di tentare la strada della lista unitaria, un po' per provare a ostacolare il disegno di Letta e un po' per provare a scippare lo scettro della prima lista nella coalizione a Giorgia Meloni. Di certo, per tutte le forze politiche l'agosto tutto sarà tranne che a una vacanza e tutto lascia pensare che a settembre il quadro politico nel quale si apriranno le urne sarà molto diverso da quello conosciuto sino a ieri.