Università, avvocatura e magistratura sono i luoghi in cui si creano, si formano e operano i giuristi. Una triade che va incontro ai cambiamenti apportati dalle riforme e dalle nuove esigenze imposte di volta in volta nelle diverse epoche storiche. Sul futuro dell’università, della professione forense e della magistratura hanno discusso ieri, nel corso di quattro tavole rotonde presso l’aula magna della Sapienza di Roma, alcuni dei protagonisti della giurisdizione. Il convegno è stato organizzato dall’ateneo capitolino in collaborazione con il Consiglio nazionale forense e la Scuola superiore dell’avvocatura. A fare gli onori di casa la rettrice, Antonella Polimeni, e il preside della facoltà di Giurisprudenza, Oliviero Diliberto. La prima tavola rotonda è stata aperta dalla presidente del Cnf, Maria Masi. «Il tema della giornata di studi – ha detto – è attualissimo. Molte riforme sono state approvate e altre sono in itinere. L’interesse che contraddistingue i nuovi profili legati alla figura del giurista è sempre alto. A ciò si accompagna un percorso di riforme che riguarda l’accesso alla professione». In questo contesto, ha rilevato Masi, non mancano le note stonate. «Ci auguriamo – ha aggiunto – una nuova forma dell’esame, che non può non tenere conto di un serio approfondimento rispetto alla formazione primaria che proviene dall’università. L’iniziativa organizzata dall’Università La Sapienza è una occasione preziosa per un confronto costruttivo». Secondo Masi, occorre moltiplicare gli sforzi per dare alla formazione una identità sempre più precisa e una utilità per i suoi fruitori. L’offerta formativa, infatti, gioca un ruolo rilevante rispetto alle aspettative di chi intraprende una determinata carriera di studi per poi accedere nel mondo del lavoro. Altro spunto di riflessione offerto dalla presidente del Cnf è stato quello della competitività nella professione forense: «Un concetto una volta inconciliabile per l’avvocatura». «Occorre capire – ha concluso – che tipo di giuristi vogliamo. Dobbiamo essere capaci di individuare i percorsi e valorizzare le competenze che ne derivano». Il presidente emerito del Cnf Guido Alpa ha espresso parole di elogio nei confronti di Maria Masi, prima donna alla guida di via del Governo Vecchio, per i risultati conseguiti «in un periodo molto delicato e complesso». «Il piano di studi di Giurisprudenza – ha affermato Alpa – che forma l’avvocato deve essere costruito in riferimento ad una realtà in movimento, che deve essere governata da una avvocatura consapevole e competente». Il futuro dell’avvocatura può essere ridisegnato partendo dal numero degli iscritti. «Oggi – ha aggiunto – 261mila avvocati sono un problema di mercato, di comportamenti, a proposito di deontologia, e di collocazione nell’ambito dell’attività lavorativa. La competitività deve essere fatta dagli avvocati sulla base della qualità. La professione di avvocato è di tipo intellettuale. L’avvocato non è un imprenditore. Non deve essere un imprenditore né deve diventare un imprenditore. Questa cosa che non è stata capita e io l’ho vissuta personalmente. La riforma del 2012, la legge 247, è stata una conquista dell’avvocatura contro il parere del governo dell’epoca. Gli avvocati, nella loro storia augusta e importante, hanno sempre tenuto ad una loro qualifica, alla loro deontologia e alla loro dignità. E dignità», ha chiarito Alpa, «significa equo compenso. Abbiamo dovuto insistere per l’introduzione di regole in grado di correggere le riforme che avevano travolto le tariffe, e posto gli avvocati in una posizione in cui subivano le condizioni delle controparti più potenti. Una situazione che era socialmente e moralmente discutibile». Un altro importante esponente dell’avvocatura, Vincenzo Di Maggio, ha scattato una fotografia molto realistica della condizione di chi indossa la toga o aspira a indossarla. «Non possono essere sottovalutati alcuni aspetti determinanti, evolutivi della nostra professione», ha esordito il consigliere del Cnf. «È innegabile – ha affermato – che, al di là delle contingenze, si registra una crescente crisi. Tale crisi è testimoniata dal calo delle iscrizioni alle facoltà di Giurisprudenza, dal calo delle iscrizioni al registro dei praticanti e dalla crescente fuga dagli albi professionali verso un comodo approccio nei ranghi della pubblica amministrazione, nella speranza di essere confermati a tempo indeterminato. Da un canto mi rallegro che i nostri registri non siano più considerati aree di parcheggio per “color che son sospesi”, dall’altro non posso non convenire con chi colpevolizza la governance rivelatasi incapace di dare risposte convincenti o a interpretare le esigenze dei giovani e, a volte, addirittura, a frustrarne le aspirazioni in nome di una selezione che ha, al contrario, provocato una voragine, per esempio, nel fabbisogno statale di medici necessari a gestire, non solo la pandemia ma anche, l’ordinaria amministrazione». A detta Di Maggio «diventa quindi essenziale esplorare nuovi orizzonti e, forse, una volta per tutte, ridisegnare insieme il futuro dei nostri ragazzi, reingegnerizzandone i percorsi, conferendo coscienza e consapevolezza alle loro future scelte e alle loro carriere, e abbreviando i tempi per il loro inserimento nel mondo del lavoro». La tavola rotonda sulle nuove modalità di accesso alla professione di avvocato e sui meccanismi che la regolano è stata moderata da Giovanna Ollà, vicepresidente della Scuola superiore dell’avvocatura. «La didattica delle scuole forensi – ha evidenziato – è caratterizzata da un nuovo metodo, che non è più di tipo frontale ma verte sul metodo casistico. Si va a riportare il tirocinio alla valutazione delle capacità di logica e di costruzione di un caso pratico. È previsto anche un complesso sistema delle verifiche. La formazione e la costruzione delle domande, all’interno di un vero e proprio archivio, sottoposto a continui aggiornamenti, deriva dal lavoro di una commissione centrale nominata dal ministero della Giustizia». Gli Ordini degli avvocati sono centrali rispetto alle nuove modalità di tirocinio. L’avvocata Ollà ha riflettuto su una recente posizione dell’Associazione nazionale forense con la quale si traccia una sorta di ritorno al passato da non stigmatizzare. «Proporre di togliere i tirocini obbligatori per riportare i futuri avvocati negli studi degli avvocati non è una provocazione», ha detto Ollà. «L’Anf – ha concluso – ha posto all’attenzione dell’avvocatura un tema di politica forense ben preciso. È un tema di retroguardia che ha un suo perché».