«Adesso la decisione non spetta a noi ma spetta al premier Draghi». Giuseppe Conte chiude così la tre giorni di assemblea permanente con i Gruppi scandita da insulti, minacce e tensioni. Ma per quanto l'avvocato appaia deciso nel rilanciare la palla nel campo del presidente del Consiglio, in realtà, assicurano con una buona dose di delusione e incredulità dagli ambienti a lui vicini, «non ha ancora deciso cosa fare». L'ex premier, spiegano dagli ambienti contiani, «prenderà una posizione solo mercoledì, dopo aver ascoltato il discorso» del capo del governo.

Il presidente M5S, a quanto pare, non ha ancora perso la speranza che Draghi apra qualche spiraglio sui famigerati 9 punti consegnati pochi giorni fa, per rientrare in partita e in maggioranza. Transizione ecologica, salario minimo, nuovo decreto aiuti sulle bollette e superbonus. Sono queste le paroline magiche, pronunciate anche in modo vaghissimo, a cui il capo pentastellato si appiglierebbe per inserire la retromarcia e votare la fiducia. E a parte il paradosso che il “sì” di Conte aprirebbe una nuova crisi - questa volta sul fianco destro dell'esecutivo, disponibile a continuare la legislatura ma senza 5S - sembra comunque poco plausibile che Draghi conceda anche solo qualche virgola all'ex premier. Eppure l'avvocato di Volturara Appula non dispera e legge in controluce i messaggi lanciati da Palazzo Chigi con ottimismo. Quali? Le rassicurazioni sulle rinnovabili, ad esempio, arrivate direttamente da Algeri, dove il capo del governo firmava importanti accordi sul gas: «L’energia rinnovabile è già il nostro presente ma è soprattutto il nostro futuro: un futuro verso cui dobbiamo procedere con celerità», ha detto Draghi. Musica per le orecchie di Conte, che all'assemblea congiunta dei Gruppi ha anche informato i parlamentari della «disponibilità» manifestata dall'esecutivo a «a continuare il confronto tecnico sul superbonus». E sono proprio questi i motivi che inducono il presidente del M5S a tentennare ancora.

Il continuo tira e molla, però, rende ancora più aspro lo scontro tra falchi e colombe dentro il partito. I primi, la maggioranza degli eletti, condizionano la nuova fiducia al governo all'accettazione dei nove punti programmatici. Le seconde, forse una trentina, soprattutto deputati, chiedono al presidente del partito di seppellire l'ascia di guerra e tornare nel perimetro della maggioranza.

E mentre Conte cambia idea più volte al giorno, è proprio attorno alle colombe che si sono riaccese le speranze di alcuni partner di governo, a cominciare dal Pd, che vedrebbero di buon occhio una nuova scissione del Movimento, per ridimensionare l'ex premier e consegnare allo stesso tempo a Draghi un altro Gruppo di ex nuovo di zecca. Sono loro, i governisti in salsa pentastellata, gli interlocutori privilegiati dei dem. Il canale di comunicazione è costante, al punto che il partito di Enrico Letta, per tutta la giornata, ha confidato nella formalizzazione dello strappo. «Inutile continuare a riunirsi a oltranza se alla fine non si trova una soluzione per salvare il governo», è il ragionamento che dal Pd veniva sussurrato insistentemente alle orecchie di Davide Crippa, capogruppo 5S alla Camera e capofila dell'ala responsabile, per velocizzare una scissione che al momento resta congelata.

«Non credo che faremo un altro Gruppo», confida una “grillina responsabile”, «ma indipendentemente da Conte voteremo sì alla fiducia, senza fare nuovi contenitori o accasandoci da qualche altra parte. Io resto nel Movimento, ci devono cacciare loro piuttosto».

Eppure, non si può dire che Crippa non abbia provato ad assecondare i suggerimenti “scissionisti” dell'alleato dem. Tanto che ieri, all'insaputa di Conte, ha tentato il “colpaccio” appoggiando la richiesta avanzata da dem e renziani di far intervenire Draghi alla Camera prima che al Senato. Il blitz del capogruppo è fallito solo per la decisione di cominciare da Palazzo Madama presa dei presidenti Fico e Casellati, ma ha fatto infuriare buona parta degli eletti. Perché le due Camere per la geografia interna pentastellata non sono equivalenti: è a Montecitorio che il numero dei governisti è più consistente e Crippa, d'accordo con altri partiti diversi dal suo, puntava a iniziare da lì per offrire subito a Draghi l'immagine di un Movimento non totalmente allineato al leader. E non è l'unico scherzetto che il capogruppo ha provato a giocare all'ex premier.

Per colpire Conte, Crippa ha messo nel mirino anche il suo portavoce, Rocco Casalino, lautamente stipendiato con le risorse dei Gruppi di Camera e Senato. Il contratto dell'ex Grande Fratello, per la parte di competenza di Montecitorio, è scaduto pochi giorni fa e lo spin doctor dell'avvocato è stato informato del mancato rinnovo con un'email di poche righe e senza fronzoli. Una rappresaglia che rischia solo di avvelenare ulteriormente il clima. E di precipitare la crisi verso un punto morto. Nell’inconsapevolezza colpevole di tutto il M5S. Falchi o colombe che siano.