Può accadere di tutto. Anche che Draghi torni sui suoi passi. In questo caso, però, pur risolvendosi i problemi di molti, forse se ne creerebbero di nuovi, e sempre più drammatici, per il paese. Problema: è veramente utile all’Italia e all’Europa (non a Draghi) che il premier dimissionario ci ripensi e annulli le dimissioni tornando al suo posto? Inutile mettere la testa sotto la sabbia e nasconderselo: in questo caso s’intensificherebbe la spietata (rispetto al paese) gara elettoralistica già in pieno svolgimento da tempo e si riaprirebbe il bazar delle furbizie con ognuno a tentar di fregare tutti gli altri, costi quel che costi, per strappare qualche manciata di voti in più.

È questa la logica che ispira gran parte di un ceto politico che punta alla sopravvivenza perché debole nella progettualità e incapace di intercettare e dare risposte ai bisogni reali del paese. Un’incapacità che appare ancor più drammatica e pericolosa in un quadro storico in cui la pandemia e la guerra hanno modificato in modo radicale sensibilità, problemi e la ricerca di protezione da parte dei cittadini. A partire dai ceti più fragili.

Non sarebbe un vantaggio per la Repubblica se il premier tornasse indietro. Di più, si sgualcirebbe di brutto l’immagine della maggiore risorsa che il nostro paese ha, Mario Draghi, e che serve oltre che all’Italia all’Europa. Insomma, Draghi se non molla e tiene ferme le sue dimissioni, come ha lasciato capire di voler fare, renderà un servizio importante al paese, facendo perfino crescere possibili prospettive positive. Guai a immaginare le sue dimissioni come un gesto d’orgoglio alla ricerca di un rifiuto. Tenerle ferme e definitive è ( sarebbe) un gesto per aiutare il paese.

Le sue dimissioni, piaccia o no, metterebbero tutti di fronte alla realtà costringendo le forze politiche a fare i conti con gli interessi complessivi del paese. In ogni caso, riuscirebbero a spezzare la campagna elettorale in corso ormai da tempo e destinata ad una sempre maggiore radicalizzazione. Nessuno ha mai lasciato contento e a cuor leggero la poltrona di presidente del Consiglio ( che contiene anche la quota di orgoglio e fierezza per chi serve il proprio paese), ma Draghi questa scelta, al contrario di moltissimi altri, è nelle condizioni, e dovrebbe essere in grado, di farla.

Se andrà così bisognerà iniziare a lavorare su diversi piani. A partire dal problema di quel che resta dei 5S. È difficile immaginare, tra caduta dei consensi e scissione Di Maio, che abbiano un futuro. Chi e perché li potrebbe accettare, per esempio, come alleati nella parte maggioritaria del voto?

Letta e i suoi collaboratori che si sono illusi fosse possibile fare di Conte e Grillo una componente decisiva del “campo largo”, se non correggeranno con urgenza e nettezza questo abbaglio, verranno travolti.

Chi ha confidenza con la sostanza politica e culturale e conosce i sentimenti del popolo Pd, sa benissimo quanto sia grande il disagio dell’alleanza tra quel partito e i guru dell’uno vale uno. Ne fa fede il fatto che la perdita vertiginosa di voti 5S ( già due terzi abbondanti dell’iniziale elettorato del 2018) non s’è mai riversata verso il Pd a causa della sua apertura e alleanza “privilegiata” col blocco da cui quell’elettorato è fuggito e continua a scappare.

Letta potrebbe rovesciare la trappola in cui s’è ficcato rompendo qualsiasi rapporto coi 5s di Conte e Grillo e tenendo fermo il rapporto con di Di Maio. Solo in questo caso, del resto, il suo “campo largo”, certo con mille e una fatica, riprenderebbe senso costringendo tutti i pezzi del “mitico Centro”, e non soltanto del Centro che ha fin qui guardato solo a sinistra, alla riaggregazione e a calamitare altre esigenze.

Se dovesse realizzarsi questo scenario è vero che sulla carta il Pd perderebbe un ( probabile) minuscolo serbatoio di voti. Ma tornerebbero in gioco anche fondamentali energie fin qui inglobate quasi militarmente nella logica contrapposta di centrosinistra e centrodestra. I due schieramenti che hanno fatto gran parte della storia della Repubblica e appaiono oggi entrambi inquinati da ipoteche populiste.

È un falso che viene ripetuto nella speranza che si autoavveri quello che garantisce il successo del populismo alle prossime elezioni. I due schieramenti di centrodestra e centrosinistra, se si misurano come aree elettorali e non come alleanze, si equivalgono.

Come alleanze entrambi sono attraversati da debolezze, contraddizioni e talvolta da vere e proprie rotture. Non è scontato che con l’attuale sistema elettorale, ormai non più modificabile, faccia emergere dalle prossime elezioni un vincitore. Serviranno ancora la capacità e il prestigio di chi può assicurare certezze al paese.

E Draghi? Intanto, il presidente dimissionario del governo italiano, che ha già fatto intendere come chiudere questa partita, è in giro per aiutare il nostro paese negli approvvigionamenti energetici tagliati dai russi. Ma prima o poi tornerà in campo. Per aiutare.