Difesa a rischio, giustizia a rischio. Su questi punti hanno riflettuto per l’intera mattinata di oggi i penalisti calabresi, in occasione delle due giornate di astensione dalle udienze (in programma il 14 e il 15 luglio). Dal centro congressi “Prunia” di Lamezia Terme i vertici dell’Ucpi in presenza e, in collegamento da remoto, i rappresentanti delle Camere penali di mezza Italia, hanno discusso sulle degenerazioni degli ultimi tempi a proposito della compressione e, in molti casi, della violazione della libertà dei cittadini. Gli avvocati da tempo lamentano lo stato di crisi in cui versa la macchina della giustizia penale. Una situazione preoccupante acuita dalle ondate di giustizialismo e dalla legislazione populista che «ha profondamente segnato il clima culturale intorno al processo ed ha determinato il concreto ridursi delle garanzie difensive». Leonardo Sciascia già quarant’anni fa metteva in guardia su certe degenerazioni che possono riflettersi pure in ambito giudiziario; non a caso parlò di «potere dell’uomo sull’uomo». Filo conduttore dell’iniziativa la vicenda dell’avvocato Armando Veneto, noto penalista ex parlamentare ed ex europarlamentare, condannato qualche mese fa a sei anni di reclusione dal Gup di Catanzaro per corruzione in atti giudiziari aggravata dalla modalità mafiosa e concorso in associazione mafiosa. «Vi è – ha evidenziato in una nota l’Unione delle Camere penali italiane -, una specificità negativa della condizione della giustizia penale in Calabria, dove la macchina dei procedimenti affidati alle regole del doppio binario enfatizza sempre più il “risultato investigativo” a discapito delle regole che presidiano la formazione della prova nel contraddittorio. Il ruolo del difensore è relegato a quello di “ostacolo” all’esercizio della giustizia penale». La decisione delle Camere penali calabresi di astenersi dalle udienze ha creato perplessità tra alcuni esponenti della magistratura associata, che hanno attribuito alla protesta un carattere di critica generalizzata della giurisdizione con lo scopo di delegittimare la funzione giudiziaria davanti agli organi di informazione e all’opinione pubblica. Ma, come è stato ribadito, gli avvocati non inseguono la notorietà. Intendono invece denunciare l’erosione dei diritti e difendere le regole del processo, consacrate nella Costituzione, considerato che il retaggio del processo inquisitorio sta prendendo il sopravvento sulla corretta applicazione dei principi di diritto dello Stato costituzionale. Secondo Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Ucpi, «non è più tollerabile l’indice a sospetto dell’attività del difensore, il quale ha sempre vissuto sul crinale del favoreggiamento». «Un grande avvocato come Franco Di Cataldo – ha detto Caiazza -  rivendicava tale assunto. Questo progressivo appiattimento e questa umiliazione della funzione difensiva richiedono di reagire». Caiazza si è soffermato sulle posizioni sempre di apertura dell’avvocatura penale nei confronti della magistratura: «Noi cerchiamo il dialogo con la magistratura, lo dimostra la nostra presenza in Calabria in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. La situazione di debolezza del difensore è la situazione di debolezza del giudice. Noi siamo legati allo stesso destino. Occorre affermare con chiarezza che l’avvocatura vuole un giudice forte, un giudice indipendente dalle Procure. Quello che non funziona nel sistema è questo. Il pubblico ministero faccia quello che deve fare, investighi con tutta la durezza possibile, ma quando deve avvicinarsi al provvedimento restrittivo della libertà, al provvedimento ablativo dei beni di proprietà non può che rivolgersi al giudice. È il controllo della giurisdizione sulla fase delle indagini il nostro obiettivo, perché diventa la restituzione del nostro ruolo. Se non c’è un giudice a cui dobbiamo rivolgerci, non c’è spazio per il nostro ruolo. In assenza di un giudice non ci resta che invocare astrattamente lo spazio che ci spetta». Il numero uno delle Camere penali ha poi espresso rammarico per la chiusura di una parte della magistratura rispetto ai temi posti all’attenzione nei due giorni di astensione. Posizioni che denotano scarsa propensione al dialogo e ad accettare le critiche, ma al tempo stesso non devono scoraggiare rispetto ad un miglioramento dei rapporti. Francesco Iacopino, segretario della Camera penale di Catanzaro, richiamando Tullio Padovani, ha affermato che il nostro tempo sta celebrando il necrologio del diritto penale liberale. «Siamo al crepuscolo dell’idea del diritto penale liberale o possiamo opporre una diversa concezione del diritto penale liberale?», si è interrogato il penalista catanzarese.