Se la lettura - o rilettura- di Dante è diventata obbligatoria per Beppe Grillo, che ne ha appena ripassato la Divina Commedia, in particolare l’Inferno, per salire a origini e somiglianze dei tradimenti subiti come fondatore e garante del MoVimento 5 Stelle, ma un po’ anche dei suoi, compiuti fra battute, risate, precisazioni, smentite, sfuriate e via sceneggiando, la lettura - o rilettura- di Luigi Pirandello è diventata obbligatoria per Giuseppe Conte.

Nel ruolo di ex avvocato del popolo, ex presidente del Consiglio e da circa un anno tormentatisissimo e contestato presidente del movimento grillino, o di quel che n’è rimasto dopo le espulsioni o gli abbandoni più o meno individuali, e infine la scissione di Luigi Di Maio e una sessantina di parlamentari al seguito, Conte può ben riconoscersi nel protagonista del romanzo fra i più famosi, se non il più famoso, dello scrittore siciliano: “Uno, nessuno, centomila”. Egli è quasi una reincarnazione del Vitangelo Moscarda in crisi di identità perché visto dagli altri diversamente da come si vede lui.

Uscito dall’incontro con Draghi senza annunciare la rottura che qualcuno temeva e altri speravano, ma con la richiesta di un “forte segno di discontinuità”, come un protagonista o attore qualsiasi della cosiddetta e odiata Prima Repubblica, il povero ex presidente del Consiglio pensava forse di avere svolto al meglio la funzione di equilibrista: dell’uomo costretto dalle circostanze a camminare sul classico filo sospeso nell’aria.

Ma Draghi - non so se più per ingenuità o inesperienza politica o per astuzia iperpolitica, altro che tecnica - lo ha descritto “collaborativo” scatenando un altro, l’ennesimo temporale, o terremoto, nel già bagnato o terremotato movimento delle 5 Stelle. I cui parlamentari con i nervi a fior di pelle hanno sentito puzza di bruciato e hanno cominciato a mettere anche l’altro piede fuori dal governo e forse anche dalla maggioranza: l’altro rispetto a quello già avvertito o segnalato dallo stesso Conte parlando in maniche di camicia con un cronista del Fatto Quotidiano ammesso nel suo ufficio. Che ne ha riferito poi in un articolo corretto presumo - nella titolazione dal direttore in prima pagina con l’annuncio di una “comunità 5 Stelle già fuori”, del tutto, a dispetto di un Conte in odore, o puzza, di “Sor Tentenna” o “Re dei penultimatum”, una volta incoronato così, tra il serio e faceto, proprio da Grillo.

Se e come potrà finire questa storia, questa rincorsa - sempre per stare alla rappresentazione di Travaglio fra un Draghi che vorrebbe cacciarlo fuori e un Conte che potrebbe, o dovrebbe, precederlo facendo uscire i suoi ministri dal governo e cercando di cacciare l’intruso Draghi da Palazzo Chigi, è francamente difficile dire o prevedere.

Da qualche giorno c’è chi scrive e persino scommette su Sergio Mattarella non ancora deciso o rassegnato alle elezioni anticipate in caso di crisi, e quindi tentato da un Draghi bis - evidentemente a dispetto dello stesso Draghi, che se n’è detto contrario - per fare terminare la legislatura alla scadenza ordinaria di marzo dell’anno prossimo. A meno che - si deve presumere - a una crisi non concorra anche la Lega di Matteo Salvini, in competizione con Conte, perché in questo caso è francamente impossibile pensare a un Mattarella ancora renitente allo scioglimento anticipato di Camere. Che, francamente, ritengo abbiano già vissuto troppo per la dovizia di spettacoli politici offerti agli elettori italiani e alle famose “Cancellerie” estere. Camere permettetemi di aggiungere sopravvissute a se stesse solo per le emergenze via via accavallatesi e condizioni di impedimento elettorale come quelle spiegate un anno e mezzo fa da Mattarella in persona in una diretta televisiva dal Quirinale distintasi per drammaticità e trasparenza. Fu la diretta sfociata nella convocazione di Draghi e nella formazione del suo governo. O - come Travaglio, sempre lui, scrisse con inchiostro giallo - nel “Conticidio”.

Non so voi, ma io sinceramente non mi strapperei i capelli, che fortunatamente conservo quasi integri a più di ottant’anni, se in autunno o già in agosto - a dispetto dell’omonimo generale sempre ai bordi della politica estiva per sedare rivolte e colpi di testa - la situazione dovesse precipitare e Mattarella fosse costretto a ciò che è riuscito sinora a risparmiarsi: una sforbiciata alla legislatura, dopo quella ai seggi parlamentari autolesionisticamente apportata dai grillini con la complicità di altri che vi erano contrari sino a un momento prima di cedere. Come il compianto socialista Fernando Santi diceva del segretario del suo partito Francesco De Martino nei rapporti, alternativamente, con la Dc e col Pci.