«Il nostro sostegno a Draghi non è messo in discussione». Quello di Draghi al Movimento 5 Stelle è invece tutto da verificare. Eppure, il giorno dopo la scissione di Luigi Di Maio e lo schiaffo ricevuto in Senato con la risoluzione Ucraina, Giuseppe Conte è ossessionato solo da un concetto: rassicurare tutti sulla lealtà del suo partito all’esecutivo. Un concetto che fa ripetere a tutti i big, soprattutto alla pattuglia dei sopravvissuti rimasti a Palazzo Chigi.

Invece di sbattere i pugni sul tavolo, come potrebbe fare visto il trattamento ricevuto da Draghi per un verso e da Di Maio per un altro, l’avvocato invita tutti alla calma. Forse l’ex premier non vuole dare di sé l’immagine, cucitagli addosso dal ministro degli Esteri, dell’irresponsabile “non evoluto”, e ingoia l’ennesimo boccone amaro. La strategia di incassare il colpo in attesa di tempi migliori sarebbe corretta se Conte avesse davvero intenzione di proseguire placidamente l’esperienza di governo. Ma così non è, e la rabbia accumulata in queste settimane lo farà ricadere in un eccesso d’ira alla prima occasione propizia. Solo che, a differenza di due giorni fa, da oggi le minacce grilline non faranno più paura a nessuno in maggioranza.

La fuoriuscita dei dimaiani ha blindato di fatto il presidente del Consiglio fino al 2023, e le future recriminazioni pentastellate verranno vissute solo come un fastidioso rumore di sottofondo, non come un pericolo per la tenuta del governo. Anzi, la sensazione è che, dalla trattative sulla risoluzione in poi, a Draghi non dispiacerebbe liberarsi definitivamente della “zavorra” contiana. E l’ostinazione con cui l’ex Bce ha negato ai cinque stelle la pur minima possibilità di salvare la faccia sulla guerra somiglia a una voglia di annientamento della forza più insubordinata della maggioranza.

Una sberla che lo stesso Conte riconosce di aver subito, pur ribadendo, paradossalmente, la fedeltà dei pentastellati: «Anche ieri, quando obiettivamente delle istanze elementari in un sistema democratico sono state un poco conculcate», l’appoggio del M5S non è venuto meno. «Noi chiedevamo né più né meno un più ampio coinvolgimento delle Camere, visto che siamo in una crisi, e siamo stati messi in difficoltà», dice candidamente l’ex premier, proponendo un’analisi abbastanza aderente alla realtà. Fuori dalla realtà rimane solo l’eterna prudenza dell’avvocato che, messo all’angolo da Draghi, sceglie di rimanere con un piede in due scarpe, rischiando di perdere ancora credibilità, pezzi e consenso per strada.

Ma la fino a ieri temuta doppiezza grillina, ora sarà solo un’arma a salve. Il presidente del Consiglio non solo lo sa, ma dopo l’umiliazione al Senato si diverte a giocare coi nervi di Conte anche alla Camera. Nel corso delle repliche al dibattito sulla risoluzione Ucraina (ovviamente approvata in modo bulgaro anche a Montecitorio) Draghi stuzzica ancora i 5S quando dice: sulle armi a Kiev «c’è una fondamentale differenza tra due punti di vista. In base al primo punto di vista, che è quello mio sostanzialmente, l’Ucraina si deve difendere», spiega. «L’altro punto di vista è diverso: “L’Ucraina non si deve difendere, non dobbiamo fare le sanzioni e non dobbiamo mandare le armi. La Russia è troppo forte, perché combatterla? Lasciamola entrare, lasciamo che l’Ucraina si sottometta, dopotutto cosa vogliono questi”», aggiunge il premier, girando il coltello nell’orgoglio pentestellato annichilito sulla linea della “terza via”.

Ora che il Movimento ha perso consistenza parlamentare Draghi potrebbe pure decidere di farne a meno, accompagnando di fatto alla porta il suo predecessore a Palazzo Chigi, senza rischi per la tenuta dell’esecutivo. Perché rinunciare al M5S dimezzato significherebbe rinunciare a una forza che proverebbe comunque a intralciare la tabella di marcia marziale del premier. Senza i contiani al governo, invece, la legislatura procederebbe tranquilla e spedita verso la sua naturale conclusione.

Magari proprio per questo Conte potrebbe scegliere di resistere: per fare un dispetto al presidente del Consiglio. Ma il suo “sacrificio” si rivelerebbe comunque ininfluente per le posizioni di una maggioranza in cui ormai i grillini pesano meno di tutti gli altri.