Poco coraggiose e a tratti illogiche le 296 pagine con cui la Prima Corte di Assise di Appello di Roma ha motivato la condanna, comminata lo scorso 17 marzo, a 22 anni di reclusione per Natale Hjorth Gabriel e a 24 anni per Finnegan Lee Elder per la morte del vice brigadiere Mario Cerciello Rega.

Rispetto al capitolo cruciale della dinamica della colluttazione, sulla quale si gioca la configurazione del reato e di conseguenza la pena da infliggere, si dice che il collega di Cerciello Rega non è stato ritenuto credibile sulla descrizione della traiettoria («non risponde al vero quanto riportato da Varriale sul punto» perché «il dato è smentito dalle risultanze in atti»), che non è sicuro neanche che abbiano mostrato i tesserini identificativi («l'esibizione dei tesserini rimane affidata solo alle dichiarazioni del Varriale con il dubbio di un intervallo temporale insufficiente per prelevare i documenti, mostrarli a distanza e poi riporli per procedere al contatto fisico») e non si riesce a dimostrare come Elder abbia potuto dedurre che fossero carabinieri, visto che erano anche in borghese. Infatti leggiamo: «la qualificazione a voce può ritenersi del tutto provata perché riscontrata dalle dichiarazioni rese dall'imputato Natale» il quale aveva sostenuto che «mentre si trovavano più o meno a buttarsi addosso a me, ha detto “carabinieri”». E però ci chiediamo: Natale conosceva la nostra lingua ma Elder no e allora come avrebbe potuto dedurre che erano militari dell'Arma? E come si concilia questo con quanto emerso dalla trascrizione delle intercettazioni in carcere di Elder: «Sono andato a dormire e mi sono svegliato. Perché non pensavo fosse un poliziotto, pensavo fosse un tipo qualunque» ?

Per di più sulla posizione del carabiniere Andrea Varriale leggiamo: «Aveva pacificamente condotto l'operazione del 26 luglio 2019 senza avere con sé la pistola d'ordinanza, contravvenendo all'ordine di servizio. Tale circostanza è stata contraddittoriamente prima negata e successivamente ammessa. L'attendibilità del militare è stata fortemente messa in dubbio dalle difese degli imputati».

La difesa di Elder fece mettere agli atti 54 punti in cui a loro parere il carabiniere mentì. La Corte di Assise di Appello ne prende in esame solo 9 e conclude tuttavia che «la mancata veridicità di talune singole dichiarazioni non necessariamente implica un giudizio di generale inattendibilità del teste». Quindi da un lato ci sono diversi punti che a nostro giudizio paiono irrazionali, ma dall'altro lato, accantonando qualsiasi «in dubio pro reo », si condannano i due americani sostenendo che sapessero che dinanzi a loro avevano due militari dell'Arma.

In altri passaggi della motivazione leggiamo che «è senz’altro chiaro come i due militari abbiano agito con superficialità, omettendo di adottare modalità e cautele previste dai protocolli operativi a loro difesa, ed in particolare lasciando in caserma l’arma di ordinanza, contravvenendo all’ordine di servizio: l’operazione è infatti sicuramente anomala, ma l’anomalia è da ricondursi ad un’involontaria distorsione di prassi, posta in essere da un militare di grande professionalità e riconosciuta esperienza nella gestione dei fatti di microcriminalità, come era Cerciello». Tuttavia per la Corte, da parte di Elder Finnegan Lee si è avuta una condotta «del tutto abnorme rispetto a quella posta in essere dal vicebrigadiere Cerciello» e ha «deliberatamente perdurato nella propria azione aggressiva sino a condurla al tragico compimento».

L’altro americano, Gabriele Natale Hjorth, ha avuto invece un ruolo di «organizzatore» e di «aizzatore» nell’azione di Elder. Un capitolo della sentenza è dedicato a quanto accaduto nella caserma dei carabinieri: «Non vi è dubbio alcuno che le forti critiche nella sentenza gravata in relazione a quanto avvenuto» ossia «maltrattamento, il successivo bendaggio e la videoripresa ad opera di militari in servizio dell'allora solo fermato Natale siano fermamente da condividere non solo dal punto di vista etico- morale ma pure e soprattutto in punta di diritto, atteso che tali pratiche risultano gravemente violative dei principi costituzionali a tutela della dignità e dell'integrità della persona e del suo diritto di difesa».

Atti per cui pendono due procedimenti presso il Tribunale di Roma. Tuttavia non si può condividere, per i giudici, la richiesta della difesa di rendere inutilizzabile l'interrogatorio, in quanto quest'ultimo si svolse dopo ore e in altri locali diversi da quelli della caserma e fu condotto da due magistrati. Il commento dell'avvocato di Lee Elder, Renato Borzone: «Una sentenza completamente diversa da quella di primo grado, che coglie per la prima volta brandelli di verità, ma non li conduce alle giuste e inevitabili conseguenze sulla dinamica dei fatti. Riconosce che gli spacciatori di Trastevere furono fatti andar via dai carabinieri perché informatori. Riconosce, finalmente, che non c’è nessuna prova che i due carabinieri abbiano mostrato i tesserini, inchiodando Varriale al fatto che l’itinerario che descrive per avvicinarsi ai ragazzi è smentito dalle telecamere. Riconosce, per la prima volta, che i ragazzi furono afferrati, senza esibizione dei tesserini, dai carabinieri. Ma poi, improvvisamente, come spaventata dal cogliere le conseguenze delle premesse, la sentenza cerca a tutti i costi di affermare che però i due si qualificarono come carabinieri, non subito, ma durante la colluttazione ( e senza spiegare come Elder da un giorno in Italia avesse potuto afferrare tale parola). E da lì inizia il tentativo di raddrizzare gli eventi per proteggere Varriale da se stesso e dalle sue ricostruzioni incredibili. Un impianto logico veramente tentennante, pur nel tentativo di andare, ma solo fino a un certo punto, oltre le terribili verità ufficiali propinate in questo processo. Insomma, se si potesse dare un titolo a una sentenza potremmo dire che è la seconda puntata di “Salvate il soldato Varriale”».

Il commento dell'avvocato di Natale, Francesco Petrelli: «La sentenza ribalta completamente l'impostazione del primo giudice smentendo clamorosamente il racconto del carabiniere e affermando che i tesserini non furono esibiti. Ma una volta affermata la inattendibilità di Varriale sul punto e l'assenza di una condotta aggressiva da parte di Natale non si comprende più in cosa sarebbe consistito il suo concorso nell'omicidio del povero Cerciello. Né Natale né Varriale videro cosa stava accadendo in quella manciata di secondi e Gabriel si allontanò di corsa senza avere alcuna consapevolezza di quanto era accaduto».

Il commento di Massimo Ferrandino, legale di Rosa Maria Esilio, vedova di Mario Cerciello Rega: «La sentenza di primo grado e quella di Appello danno giustizia a Mario Cerciello. Anche in questa motivazione per i giudici i due carabinieri si erano identificati. Nulla giustifica l’efferata azione di Elder e oggi Natale viene addirittura qualificato come aizzatore. Altro che bugie di Varriale. I due americani sono stati lucidi e decisi».