Di Maio pronto a lasciare il grillismo per dar vita alla “cosa” draghiana
La rottura di Luigi Di Maio è tutt’altro che casuale, e chi conosce le dinamiche del Movimento fa sapere che il ministro degli Esteri ha iniziato la sua exit-strategy dai 5S
Se si potesse giudicare il Movimento 5 Stelle con le categorie tradizionali della politica non ci sarebbero dubbi: con l’attacco violento di ieri al leader Giuseppe Conte, Luigi Di Maio si è messo fuori dal partito che lo portò in Parlamento nel 2013. Ma con i grillini gli schemi spesso saltano e nessuna certezza resta granitica per più di qualche ora. Eppure, a sentire i sospiri della base parlamentare, il ministro degli Esteri ha scelto di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e attraversare il Rubicone.
Già, ma per fare cosa? Per andare dove? E con chi? «Confermo che c’è la volontà di fare altro, di costruire un altro progetto», confida una deputata di rango moderatamente dimaiana al secondo mandato. «Ma dipende da molte cose», aggiunge. Molte cose che probabilmente hanno più a che fare col destino personale dei singoli deputati e senatori arrivati all’ultimo giro di giostra – il fatidico limite del secondo mandato che l’ex premier non sembra intenzionato ad abbandonare, salvo qualche deroga – che con la politica. Seguire Di Maio verso mari ancora più incerti di quelli assicurati dall’avvocato è decisione difficile. «Ma io non ho scelta», dice la nostra fonte, «Conte è tremendo e non dà nulla», aggiunge, lì dove per nulla si intende sempre una deroga.
È sugli scontenti che il titolare della Farnesina vuole far leva e probabilmente non è un caso che abbia deciso di uscire definitivamente allo scoperto all’indomani dell’ordinanza con cui il Tribunale di Napoli conferma il presidente grillino alla guida del partito. Disarcionarlo adesso sarebbe impresa ardua, tanto vale aprire il fuoco e attendere il momento più propizio per abbandonare la nave. E quel momento potrebbe arrivare a breve. C’è una data segnata in rosso sui calendari del Senato: il 21 giugno, quando Mario Draghi arriverà a Palazzo Madama per le comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio europeo del 23 giugno. Per quel giorno «non prendete impegni», aveva detto qualche settimana fa Matteo Renzi, uno che di manovre Palazzo se ne intende. «È il giorno in cui i grillini tenteranno l’assalto contro Draghi in Senato».
Sì, perché Conte da tempo spinge per presentare una risoluzione che vincoli il governo a privilegiare la via diplomatica su quella degli aiuti militari per porre fine alla guerra in Ucraina in contrasto proprio con Di Maio, sostenitore invece di una assoluta fedeltà atlantica. Ma dopo lo scontro pubblico col ministro degli Esteri, che ha espressamente definito «inopportuno» inserire nella risoluzione «frasi o contenuti che ci disallineano dalle nostre alleanze storiche», difficilmente il presidente 5S potrà decidere di moderare i toni. Srebbe un’implicita cessione di sovranità al “nemico”.
L’incidente di percorso dunque è dietro l’angolo. E in caso di sfida aperta a Draghi da parte di Conte, l’ex capo politico di Pomigliano d’Arco avrebbe gioco facile ad annunciare l’addio per sopraggiunta incompatibilità ambientale e politica. A quel punto una scissione sarebbe la naturale conseguenza, Di Maio potrebbe dar vita alla sua “cosa”, che resterebbe comunque con i piedi ben piantati nel campo largo «progressista», assicurano i parlamentari interessati. Del resto, persino il senatore dem ed ex renziano Andrea Marcucci, da sempre contrario al matrimonio giallo- rosso, non esita a dire: «Con il M5S di cui parla il ministro Di Maio, europeista, atlantista e solidamente ancorato al governo Draghi farei subito un’ alleanza».
A lungo termine l’obiettivo del titolare della Farnesina sarebbe però quello di confluire nell’eventuale grande centro draghiano ancora tutto da definire. «Da qui alle elezioni il panorama politico sarà totalmente mutato», spiega un’altra fonte pentastellata, «e con tutte le emergenze economiche e sanitarie da gestire non ci sarà più spazio per sovranisti e populisti. Servirà ancora una figura autorevole a livello internazionale per affrontare le enormi difficoltà e non rimanerne schicciati». In altri termini, ci sarà ancor bisogno di Draghi nel 2023 e di un grande contenitore moderato pronto a sostenerlo. Ed è lì dentro che Di Maio proverà a giocare la sua partita.
Di Maio pronto a lasciare il grillismo per dar vita alla “cosa” draghiana
Se si potesse giudicare il Movimento 5 Stelle con le categorie tradizionali della politica non ci sarebbero dubbi: con l’attacco violento di ieri al leader Giuseppe Conte, Luigi Di Maio si è messo fuori dal partito che lo portò in Parlamento nel 2013. Ma con i grillini gli schemi spesso saltano e nessuna certezza resta granitica per più di qualche ora. Eppure, a sentire i sospiri della base parlamentare, il ministro degli Esteri ha scelto di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e attraversare il Rubicone.
Già, ma per fare cosa? Per andare dove? E con chi? «Confermo che c’è la volontà di fare altro, di costruire un altro progetto», confida una deputata di rango moderatamente dimaiana al secondo mandato. «Ma dipende da molte cose», aggiunge. Molte cose che probabilmente hanno più a che fare col destino personale dei singoli deputati e senatori arrivati all’ultimo giro di giostra – il fatidico limite del secondo mandato che l’ex premier non sembra intenzionato ad abbandonare, salvo qualche deroga – che con la politica. Seguire Di Maio verso mari ancora più incerti di quelli assicurati dall’avvocato è decisione difficile. «Ma io non ho scelta», dice la nostra fonte, «Conte è tremendo e non dà nulla», aggiunge, lì dove per nulla si intende sempre una deroga.
È sugli scontenti che il titolare della Farnesina vuole far leva e probabilmente non è un caso che abbia deciso di uscire definitivamente allo scoperto all’indomani dell’ordinanza con cui il Tribunale di Napoli conferma il presidente grillino alla guida del partito. Disarcionarlo adesso sarebbe impresa ardua, tanto vale aprire il fuoco e attendere il momento più propizio per abbandonare la nave. E quel momento potrebbe arrivare a breve. C’è una data segnata in rosso sui calendari del Senato: il 21 giugno, quando Mario Draghi arriverà a Palazzo Madama per le comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio europeo del 23 giugno. Per quel giorno «non prendete impegni», aveva detto qualche settimana fa Matteo Renzi, uno che di manovre Palazzo se ne intende. «È il giorno in cui i grillini tenteranno l’assalto contro Draghi in Senato».
Sì, perché Conte da tempo spinge per presentare una risoluzione che vincoli il governo a privilegiare la via diplomatica su quella degli aiuti militari per porre fine alla guerra in Ucraina in contrasto proprio con Di Maio, sostenitore invece di una assoluta fedeltà atlantica. Ma dopo lo scontro pubblico col ministro degli Esteri, che ha espressamente definito «inopportuno» inserire nella risoluzione «frasi o contenuti che ci disallineano dalle nostre alleanze storiche», difficilmente il presidente 5S potrà decidere di moderare i toni. Srebbe un’implicita cessione di sovranità al “nemico”.
L’incidente di percorso dunque è dietro l’angolo. E in caso di sfida aperta a Draghi da parte di Conte, l’ex capo politico di Pomigliano d’Arco avrebbe gioco facile ad annunciare l’addio per sopraggiunta incompatibilità ambientale e politica. A quel punto una scissione sarebbe la naturale conseguenza, Di Maio potrebbe dar vita alla sua “cosa”, che resterebbe comunque con i piedi ben piantati nel campo largo «progressista», assicurano i parlamentari interessati. Del resto, persino il senatore dem ed ex renziano Andrea Marcucci, da sempre contrario al matrimonio giallo- rosso, non esita a dire: «Con il M5S di cui parla il ministro Di Maio, europeista, atlantista e solidamente ancorato al governo Draghi farei subito un’ alleanza».
A lungo termine l’obiettivo del titolare della Farnesina sarebbe però quello di confluire nell’eventuale grande centro draghiano ancora tutto da definire. «Da qui alle elezioni il panorama politico sarà totalmente mutato», spiega un’altra fonte pentastellata, «e con tutte le emergenze economiche e sanitarie da gestire non ci sarà più spazio per sovranisti e populisti. Servirà ancora una figura autorevole a livello internazionale per affrontare le enormi difficoltà e non rimanerne schicciati». In altri termini, ci sarà ancor bisogno di Draghi nel 2023 e di un grande contenitore moderato pronto a sostenerlo. Ed è lì dentro che Di Maio proverà a giocare la sua partita.
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