Carlo Calenda, con Azione, lancia l’opa sull’area Draghi. Dopo l’exploit a Roma, insieme a + Europa, raggiunge risultati esaltanti nei grandi centri interessati dal voto amministrativo con percentuali che vanno spesso in doppia cifra.

All’Aquila con Di Benedetto l’aggregazione di Calenda ha superato il 20 per cento e si è piazzata avanti anche alla candidata del Pd Pezzopane, ma risultati più che lusinghieri sono arrivati anche a Palermo con Ferrandelli sopra il 15 per cento, ad Alessandria con Barosini al 14 e a Parma con Costi al 10.

Una conferma dello spazio esistente fra i due poli che Calenda, insieme ai suoi, vuol saldamente occupare anche in vista delle prossime elezioni politiche. Ne è convinto anche il cofondatore di Azione Matteo Richetti. «Non mi unisco allo sport italico per il quale, ad ogni elezione, vincono sempre tutti. Alle Amministrative vincono i sindaci che ottengono il consenso al primo turno o che poi si affermano ai ballottaggi», spiega al Dubbio Richetti. «C’è, però, un dato indiscutibile: il progetto riformista e liberal-democratico al quale stiamo lavorando raccoglie su scala territoriale, alle elezioni amministrative, un grande consenso. Ad Alessandria, a Parma, a L’Aquila, a Palermo, noi abbiamo accompagnato con un certo protagonismo questi esperimenti territoriali che, grazie ai nostri candidati, hanno raggiunto tutti risultati in doppia cifra. Ciò vuol dire che quello che è successo a Roma, attorno a Carlo Calenda, non è da considerarsi episodico, ma rappresenta uno spazio elettorale vero che diventerà uno spazio nazionale».

Questo progetto, insomma, trova nuova linfa nel risultato elettorale e proseguirà la sua marcia per arrivare ancora più strutturato alle prossime elezioni politiche. Con un riferimento sicuro: Mario Draghi e la sua esperienza di governo. Anche se Richetti glissa sulla possibilità che l’aggregazione venga definita un’area costruita per il premier. «Se vogliamo essere sinceri il nostro progetto politico è riuscito a dare una casa ad un nuovo civismo, costruendo uno spazio tra la parte moderata dei progressisti e l’area moderata di centrodestra», spiega l’esponente di Azione. «Sicuramente per noi l’obiettivo rimane quello di traguardare alle prossime elezioni politiche strutturando meglio quest’area. Ovviamente sul piano nazionale sarà un’operazione diversa rispetto a quanto avvenuto sul piano territoriale, ma il nostro programma rimarrà uguale. Poi è chiaro che per Azione e + Europa Mario Draghi e il suo governo rimangono un punto di riferimento».

Difficile, però, immaginare al momento delle alleanze allargate. Lo ha confermato Carlo Calenda, commentando a caldo i risultati delle amministrative, e lo ribadisce anche Richetti. «Le decisioni sulle alleanze si prendono sulla base di medesime vedute, altrimenti vuol dire farle soltanto per vincere le competizioni elettorali, senza possibilità seria e concreta di governo. Allearsi con il campo largo vorrebbe dire cercare alleanze con giustizialisti e comitati per il no che finiscono per rifiutare tutto e bloccano il progresso del Paese. Non parliamo poi della destra che ci spingerebbe fuori Europa e tra le braccia di Orban. Non ci interessano alleanze fatte solo per ottenere qualche collegio in più».

Chi rischia di restare con il cerino in mano, adesso, è proprio il leader di Italia Viva Matteo Renzi che all’idea di un’area Draghi ha pensato tra i primi, ma che ha disperso il suo consenso elettorale con alleanze ondivaghe sui vari territori che non hanno prodotto i risultati sperati. E se Richetti non chiude definitivamente la porta, mette subito in chiaro un fatto: l’area di centro in costruzione ha un leader già definito e non in discussione: Carlo Calenda. «Matteo Renzi - dice Richetti sta cercando un papa straniero come futuro leader di quest’area. Noi, invece, abbiamo Carlo Calenda e ce le teniamo stretto, perché rappresenta la leadership più credibile per il futuro del Paese. Noi adesso possiamo raccontare di elezioni di successo, ma nei contesti dove la nostra area ha raggiunto ottimi risultati Renzi era da un’altra parte. Perché non era con noi a L’Aqulia e ha appoggiato la Pezzopane con il M5S? Perché a Palermo, dopo il ritiro di Faraone, non si è unito al progetto riformista? Se vogliamo uscire dalle sterili polemiche si deve dimostrare con i comportamenti e le decisioni di essere alternativi ai populisti. Noi proseguiamo per la nostra strada e lasciamo tutte le porte aperte, ma non accetteremo nessun approccio autoreferenziale».