UNO. Tutti col fiato sospeso in attesa delle elezioni del 12 e del 21 giugno che dovranno rieleggere un po’ di Consigli comunali e qualche sindaco importante. Tutti convinti che saranno questi due appuntamenti a decidere lo scatto verso la vittoria o la sconfitta finali alle elezioni politiche del 2023 quando gli italiani sceglieranno, dovrebbero scegliere, da chi farsi governare. In ogni caso, saranno questi ormai prossimi risultati, pensa l’intero universo tradizionale della politica italiana, a far luce sui veri rapporti di forza che si sono (si sarebbero) cementati nel paese.

Si respira, per questo, sul voto amministrativo del 12 giugno un’attenzione uguale e contraria al destino dei referendum sulla giustizia, strategicamente sottovalutati da media e partiti. Dai media, perché i referendum potrebbero bruciare fortune e carriere di grappoli di giornali e giornalisti dato che il giustizialismo ha avuto, ed ancora ha, un ruolo strategico nel consentire fortune editoriali, visibilità e successi (perfino editoriali) altrimenti inimmaginabili. Dai partiti, perché ormai da anni hanno rinunciato alla fatica e soprattutto ai rischi di progetti e proposte per una rifondazione del pianeta giustizia.

Insomma, il sistema politico italiano continua a promuovere la propria crisi e immagina che tutto procederà com’è stato in passato. Nessuno si pone esplicitamente le domande di volta in volta fondamentali a partire, in questa occasione, da quella principale: c’è ancora un legame tra il voto amministrativo e gli orientamenti e le scelte politiche degli italiani, un legame tale da rivelare, col voto per scegliere un sindaco o un consigliere comunale, i propri orientamenti e desideri politici e culturali sul destino del Paese?

Curiosamente, nessuno ha tentato di leggere le vistose anomalie che sono emerse in queste settimane rispetto alla logica tradizionale delle alleanze di centrodestra e centrosinistra. Eppure la variegata formazione delle alleanze per la conquista dei Comuni è l’indizio della rottura del vecchio schema che coniugava e saldava insieme voto politico e voto amministrativo. In molti Comuni Pd e 5s, che ufficialmente promettono un’alleanza granitica e duratura, non fanno coppia pur continuando entrambi a immaginare e a suggerire un’alleanza certa e stretta in grado di difendere e far crescere il futuro del paese.

Come dire? Il fronte largo di Letta alle amministrative non viene preso in considerazione alcuna. Matteo Renzi, altro esempio, in alcuni Comuni (come a Genova) sostiene il sindaco uscente che è del Centrodestra, e che lui giudica positivamente per l’attività svolta, ma continua ad assicurare tutti di essere incardinato nell’area del centrosinistra. La onorevole Meloni viaggia molto spesso sola, talvolta perfino rischiando di far perdere un’amministrazione comunale già di centrodestra ( per esempio a Catanzaro dove Fdi schiera una candidata forte, la deputata Wanda Ferro, contro il candidato ufficiale del Cdx residuo, Fi e Lega, che hanno candidato e sindaco un ex Pd). In questo complicato contesto, una sola cosa appare chiara: leader e attori del sistema politico italiano sono convinti che tutto continuerà a procedere seguendo le logiche e gli schemi fin qui seguiti.

DUE. In questo clima ha preso spazio il dibattito sull’area Draghi nutrita e agitata con non pochi equivoci. Intanto, nessuno tiene conto che l’area Draghi dovrà (dovrebbe) fare i conti col particolare non irrilevante che Draghi non ha alcuna intenzione di “scendere” in campo ripetendo l’errore ingenuo e pacchiano consumato dal professor Mario Monti. Non solo è prevedibile che non scenderà personalmente in campo ma è molto probabile che Draghi si terrà alla larga anche da tutti i tentativi e le proposte in questa direzione non fosse altro per poter credibilmente restare la riserva fondamentale della Repubblica se il voto del 2023, come non è impossibile che accada, non dovesse riuscire a risolvere il problema della governabilità del paese.

Ma se l’area Draghi, come tutto lascia immaginare, non sarà il partito di Mario Draghi o quello da lui suggerito, cosa potrebbe essere e come potrebbe nascere? Qui le cose si complicano perché l’area Draghi può esistere – per la verità si ha la sensazione che già esista - come uno spazio politico formato da un insieme di cittadini e di culture che hanno apprezzato il governo e le scelte dell’ex presidente della Bce e ne giudicano necessaria la continuazione. Insomma, l’acquisizione dell’aria Draghi implica una scelta chiara a favore degli obiettivi e delle sensibilità che il governo Draghi ha fin qui veicolato. Servirebbero discussioni, approfondimenti, differenze. Eppure, al momento proprio lo scontro elettorale, con l’obiettivo di mettere qualche ipoteca sul 2023 rischia di innescare fenomeni politici regressivi. Non sarà facile e bisognerà che si consumi per intero questo appuntamento elettorale per poi verificare e promuovere energie e leader capaci di riorganizzare il sistema politico italiano facendolo uscire dalla crisi strutturale in cui si trova da molti anni così da consentire la valorizzazione di tutte le spinte positive che pure esistono nel paese.