Non stupisca se, per capire l’importanza della prossima tornata referendaria, suggerisco di partire dal meno rilevante dei quesiti, quello che mira a rimuovere le firme a sostegno delle candidature al Csm. Disposizione che già la Camera in prima lettura ha cancellato, approvando con ampio consenso la riforma dell’ordinamento giudiziario. Sicché, il 12 giugno si voterà per qualcosa che si otterrà, a prescindere dal referendum e per volontà di tutti. Ma allora, viene da chiedersi, perché alcuni partiti invitano a votare NO? Evidentemente, si vuole che il popolo “non disturbi il manovratore”. La scusa della materia “troppo tecnica” per essere affidata ai cittadini risulta falsa come lo sfondo di un vecchio film. Liberare le candidature dalle cordate (o dalle correnti) è uno schema che capisce chiunque perché vale per tutto: per il Csm come per l’assemblea di condominio. Chi oggi invita a disertare o votare NO appena ieri ha votato SI in Parlamento. A dimostrazione che il problema non sono tanto i quesiti quanto i chiamati a rispondere, ossia i cittadini. Il che sarebbe già grave se fosse solo un atteggiamento elitario, quindi antidemocratico; in realtà è anche peggio. Da sempre grava un divieto alla politica in tema di giustizia, che si vuole destinata esclusivamente alla “autoriforma”, sul presupposto che la giustizia è cosa dei magistrati. Quando la politica ci ha provato è stata respinta con perdite; vuoi per proclami in tv di procuratori “descamisados”, vuoi con lettere sottoscritte da intere Procure oppure a mezzo di interviste eclatanti. Sono stati paralizzati gli slanci riformatori non solo di ministri, ma anche di intere commissioni bicamerali di riforma costituzionale. Tra le varie vittime, Bozzi, De Mita, Conso, Biondi, Boato, D’Alema; è storia nota. La cosa strana è che, mentre è in atto il suo superamento (come testimonia la reazione dello sciopero indetto dall’Anm), il divieto sembra trasferirsi ai cittadini. Lo dimostra il velo di silenzio calato sulla tornata referendaria e i NO paradossali di cui si è detto. Insomma, cambiano i soggetti, ma la giustizia resta sempre “cosa loro”.Invece, basterebbe riflettere un attimo per capire che l’ostracismo verso il referendum del 12 giugno è un atto autolesivo della politica. Poiché il voto appartiene alla collettività (e non più solo ai suoi promotori), è interesse di tutti fare dei referendum un volano delle riforme. La vittoria dei SI non ostacolerà l’intento riformatore del governo e del Parlamento, anzi lo sosterrà. Votare, e votare SI, ai quesiti riguardanti l’ordinamento giudiziario (candidature al Csm, voto degli avvocati nei Consigli Giudiziari e separazione delle funzioni dei magistrati) significa confermare le scelte della riforma e agevolarne il percorso che comincerà in Senato il 14 giugno. Votare, e votare SI, all’abrogazione della legge Severino significa dare una spinta decisiva per avviare quella riforma delle incandidabilità che tutti dicono necessaria, ma poi invitano a votare NO perché sostengono - “la legge va cambiata in Parlamento”. Votare, e votare SI, al quesito sulla custodia cautelare significa avviare a soluzione, o almeno contenere, gli abusi che sono sotto gli occhi di tutti e finanche ripetutamente riconosciuti da esponenti di vertice della magistratura. Partito dal quesito meno rilevante (sebbene politicamente più illuminante), mi soffermo un attimo su questo che invece mi pare il più rilevante. L’articolo 274 del codice di procedura penale è stato oggetto negli anni di modifiche letterali, ricorrendo a sempre più pregnanti avverbi e aggettivazioni al fine di arginare gli abusi. Ma le formule sono state ogni volta aggirate e i risultati sempre deludenti. Limitare la custodia cautelare ai soli casi di vero pericolo per la collettività consentirà di rispettare la presunzione di innocenza e, cosa non meno importante, di sostenere un proposito tanto caro alla Ministra Cartabia: superare il carcere come soluzione elettiva. È quanto si sta tentando di fare con la riforma del sistema sanzionatorio penale e con l’introduzione della Giustizia Riparativa. Abbiamo la prova che il referendum non contrasta, ma aiuta la politica. La vittoria dei SI accenderà i riflettori sul potere legislativo e gli passerà il testimone. L’obiettivo di affidarsi al Parlamento, perseguito solo a parole da chi invita al NO, sarà - nei fatti servito su un piatto d’argento dai cittadini che voteranno SI.

*Presidente Ordine degli Avvocati di Milano, componente Ufficio di Coordinamento dell’Organismo congressuale forense