Dopo le tragicomiche trasferte a Odessa, Massimo Giletti sale decisamente di livello: volerà a Mosca con la sua troupe e domani sera racconterà la guerra direttamente dalla capitale russa. Pare che Cairo abbia affittato una lussuosa suite con vista sulla storica Piazza Rossa che verrà adibita a studio televisivo. Se tutto andrà bene Giletti avrà come ospite d’onore Marija Zakharova, la portavoce del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, Antonio Gramsci (sic), nipote e omonimo del celebre intellettuale comunista, e un numero imprecisato di imprenditori italiani in affari con la Russia.
Più altre eventuali sorprese. Ci sono ancora alcuni dettagli da curare, ma noi ci auguriamo vivamente che la versione moscovita di Non è l’Arena vada in onda e riscuota il meritato successo. Certo, Giletti non potrà chiamare “guerra”, né “invasione” e neanche “offensiva” l’operazione speciale del Cremlino ( chi lo fa rischia fino a 15 anni di carcere), forse non potrà nemmeno citare l’Ucraina per nome, di sicuro non gli sarà permesso criticare il governo russo e tanto meno evocare i crimini commessi al fronte dagli Z. In fondo che importa: le trasmissioni di Giletti non ci interessano per motivi giornalistici ma perché sono puro intrattenimento, fiction così mal costruite da flirtare inconsapevoli con l’avanguardia artistica. Un po’ come i film trash degli anni 70- 80.
L’anchorman de La7 possiede infatti un dono unico: riesce a trasformare tutto in farsa, anche il dramma più cupo assume tinte grottesche, da commedia all’italiana, e il sensazionalismo con cui stravolge il format nazional- popolare è solo l’espediente retorico del suo genere letterario. Che, va da sé, non ha nulla a che vedere con l’informazione, un po’ come il wrestling non ha nulla a che vedere con la lotta di strada.
Ancora abbiamo negli occhi le sfuriate di Odessa nei confronti di invisibili uomini della security che volevano impedirgli di riprendere “gli orrori della guerra”, l’inglese maccheronico, l’empatia posticcia, le passeggiate tra le macerie per raccogliere oggetti a caso, lo sguardo accigliato, il gilet antiproiettile, i sacchetti di sabbia. Da Mosca Giletti sarà costretto a recitare un’altra parte, niente elmetti e sibili di bombe che illuminano il cielo, ma siamo certi che non avrà alcun problema a togliersi gli abiti dell’inviato di guerra filo- ucraino per indossare quelli del conduttore capace di ascoltare “le ragioni dei russi”.
Non c’è pace per Putin: dopo le sanzioni, ora a Mosca arriva Giletti…
Dopo le tragicomiche trasferte a Odessa, Massimo Giletti sale decisamente di livello: volerà a Mosca con la sua troupe e domani sera racconterà la guerra direttamente dalla capitale russa. Pare che Cairo abbia affittato una lussuosa suite con vista sulla storica Piazza Rossa che verrà adibita a studio televisivo. Se tutto andrà bene Giletti avrà come ospite d’onore Marija Zakharova, la portavoce del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, Antonio Gramsci (sic), nipote e omonimo del celebre intellettuale comunista, e un numero imprecisato di imprenditori italiani in affari con la Russia.
Più altre eventuali sorprese. Ci sono ancora alcuni dettagli da curare, ma noi ci auguriamo vivamente che la versione moscovita di Non è l’Arena vada in onda e riscuota il meritato successo. Certo, Giletti non potrà chiamare “guerra”, né “invasione” e neanche “offensiva” l’operazione speciale del Cremlino ( chi lo fa rischia fino a 15 anni di carcere), forse non potrà nemmeno citare l’Ucraina per nome, di sicuro non gli sarà permesso criticare il governo russo e tanto meno evocare i crimini commessi al fronte dagli Z. In fondo che importa: le trasmissioni di Giletti non ci interessano per motivi giornalistici ma perché sono puro intrattenimento, fiction così mal costruite da flirtare inconsapevoli con l’avanguardia artistica. Un po’ come i film trash degli anni 70- 80.
L’anchorman de La7 possiede infatti un dono unico: riesce a trasformare tutto in farsa, anche il dramma più cupo assume tinte grottesche, da commedia all’italiana, e il sensazionalismo con cui stravolge il format nazional- popolare è solo l’espediente retorico del suo genere letterario. Che, va da sé, non ha nulla a che vedere con l’informazione, un po’ come il wrestling non ha nulla a che vedere con la lotta di strada.
Ancora abbiamo negli occhi le sfuriate di Odessa nei confronti di invisibili uomini della security che volevano impedirgli di riprendere “gli orrori della guerra”, l’inglese maccheronico, l’empatia posticcia, le passeggiate tra le macerie per raccogliere oggetti a caso, lo sguardo accigliato, il gilet antiproiettile, i sacchetti di sabbia. Da Mosca Giletti sarà costretto a recitare un’altra parte, niente elmetti e sibili di bombe che illuminano il cielo, ma siamo certi che non avrà alcun problema a togliersi gli abiti dell’inviato di guerra filo- ucraino per indossare quelli del conduttore capace di ascoltare “le ragioni dei russi”.
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