Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e oggi presidente dell’associazione Lavoro& Welfare, spiega che «in questo periodo di grande trasformazione, a partire da quella digitale, occorre elaborare una nuova concezione del lavoro», perché «se una parte del lavoro sarà caratterizzata dal cosiddetto smart working, servirà da un lato un lavoro stabile che dia orizzonte e sicurezza alle giovani generazioni, dall’altro la possibilità di riutilizzare flessibilmente la prestazione».

Presidente Damiano, come sta cambiando il mondo del lavoro in questa fase post pandemica? 

L’andamento dell’occupazione è strettamente legato all’andamento dell’economia. Quando non c’è crescita, diminuiscono ovviamente anche i posti di lavoro. L’abbiamo registrato nel 2020, all’apice della pandemia, quando il Pil ebbe un calo di circa il 10 per cento e si perse un milione di posti di lavoro. Voglio anche ricordare che nel maggio di quell’anno viaggiavamo a circa 900 milioni di ore di cassa integrazione autorizzate, compresa la cassa Covid. Di solito quella cifra mensile era autorizzata nell’arco di un anno, e questo dà la dimensione della crisi che abbiamo alle nostre spalle.

Ora la situazione è diversa e l’Italia è in ripresa, come si traduce tutto questo per le decine di milioni di lavoratori e lavoratrici? 

Il 2021 ha avuto un rimbalzo economico, che ha fatto parzialmente recuperare la perdita, e infatti abbiamo registrato un +6 per cento di Pil con un recupero di circa 800mila posti di lavoro. Se andiamo ad analizzare qualitativamente la crescita occupazionale ci accorgiamo che è rappresentata prevalentemente da rapporti di lavoro a tempo determinato. Quindi contratti a termine e lavoro interinale. Che sono normati per legge e regolati con contratti del tutto trasparenti, ma al tempo stesso va anche ricordato che se si ricorre a quelle forme di impiego vuol dire che non si scommette sul lavoro stabile, che come dice l’Europa dovrebbe essere la stella polare nel mercato del lavoro.

Dunque crede che il governo dovrebbe fare di più sotto questo punto di vista? 

Il punto è capire oltre alla crescita quantitativa dell’economia, se questa transizione digitale ed ecologica incorpora anche una crescita qualitativa sotto il profilo sociale e del lavoro. A me pare che questo aspetto sia ancora in ombra e che dovrebbe essere quindi in qualche modo maggiormente evidenziato. Da questo punto di vista sono molto importanti le iniziative adottate dal ministro Orlando per quanto riguarda svariati temi, dalla sicurezza sul lavoro, al lavoro agile, fino all’apprendistato, che hanno in qualche modo migliorato la situazione. Il punto chiave però è elaborare una nuova concezione del lavoro in questo periodo di grande trasformazione, a partire da quella digitale.

Purtroppo però nulla cambia sulla sicurezza di lavoratrici e lavoratori con continui aumenti di morti bianche, anche durante l’alternanza scuola- lavoro. Ci fa un quadro della situazione?

Come dicevo in precedenza, a mio avviso il ministro Orlando ha sviluppato su questo fronte una serie di iniziative molto importanti. Ad esempio la sospensione delle attività nelle quali c’è almeno il 10 per cento di lavoratori in nero o nelle quali si riscontrano gravi inadempienze sul terreno della tutela dell’integrità psico fisica dei lavoratori. Così come l’obbligo della formazione alla sicurezza anche per i datori di lavoro e dell’adozione del contratto dell’edilizia per i cantieri sopra i 70mila euro. Nonostante questi miglioramenti, come ricordava giustamente lei nei primi mesi di quest’anno abbiamo visto ancora una volta l’aumento degli infortuni, delle morti sul lavoro e delle malattie professionali.

Come si può mettere un freno a questa tragedia?

A mio avviso la possibilità di avere risultati efficaci su questo terreno dipende molto dal superamento di quello che oggi sta capitando, vale a dire la crescita del lavoro discontinuo, e quindi più fragile ed esposto, soprattutto a carico delle nuove generazioni e delle donne. Per farlo, bisogna abbattere la teologia della flex security, cioè quel pensiero che a partire dalla fine del secolo scorso ha dominato nel mondo del lavoro e che si è tradotto in una crescita dell’utilizzo flessibile dei lavoratori alla quale non ha corrisposto una crescita della sicurezza sul lavoro.

Serve dunque un ribaltamento di questa visione?

In quella teologia esiste un errore di fondo, che consiste nel fatto che è diventato flessibile il rapporto di lavoro e non l’attività svolta dalla persona. A mio avviso dobbiamo recuperare un’idea di stabilità del lavoro, di continuità del lavoro, di lavoro a tempo indeterminato dentro alla quale impostazione si eserciti una flessibilità della prestazione lavorativa. Se una parte del lavoro sarà caratterizzata dal cosiddetto smart working, servirà da un lato un lavoro stabile che dia orizzonte e sicurezza alle giovani generazioni, dall’altro la possibilità di riutilizzare flessibilmente la prestazione. Solo così arriveremo a un lavoro “moderno” ma soprattutto sicuro.