«Al momento i piani di pace sono destinati a restare improduttivi perché l’unico linguaggio che Putin capisce è quello della forza. E quindi è con la forza che dobbiamo continuare a rispondergli. Pur senza smettere di ricercare cessate il fuoco e soluzioni negoziate». È la tesi dell’ambasciatore Giampiero Massolo, già direttore del Dis, ora presidente dell’Ispi e di Atlantia. In un’intervista al Libero afferma che «non esistono ancora le condizioni perché un negoziato serio si avvii. Putin è convinto di potersi rafforzare, conquistando una parte consistente del Donbass e consolidando i possessi lungo il Mar Nero. Del resto, circa un terzo dell’Ucraina è occupato dalla Russia e Putin difficilmente abbandonerà quei territori. Solo la resa degli ucraini potrebbe convincerlo a un cessate il fuoco. Anche l’aggredito ucraino ritiene di avere molto da difendere, e quindi non considera delle ipotesi negoziali e tanto meno vuole arrendersi. Ciò non significa che si debbano risparmiare interventi diplomatici come il piano italiano, le mediazioni turche o le telefonate a Putin. Per ora però non c’è spazio per una trattativa, parlano solo le armi». «In questo momento bisogna che l’aggressore si fermi - prosegue Massolo - Non si tratta di creare ponti o fare mediazioni che peraltro restano improduttive e vengono respinte al mittente. Bisogna fermare la guerra, scelta che è solo nelle mani dell’aggressore. La prima cosa fare è rendere all’aggressore difficile il compito, far salire il prezzo della sua follia. Lo si fa restando fermi sulle forniture di armi e rendendo severo l’apparato sanzionatorio contro Mosca, per portarla a negoziare. Di sicuro servirà ad aumentare i costi della guerra perla Russia. E poi il linguaggio della forza è quello che Putin mostra meglio di comprendere. Lui rispetta di più chi parla con fermezza, un connotato tipico della storia russa. I russi - dice ancora - non stanno vincendo rispetto agli obiettivi iniziali e cioè il controllo facile dell’Ucraina, ma stanno consolidandosi nelle aree conquistate. Gli ucraini non la stanno perdendo, nel senso che la resistenza è ancora forte e contano sulla fornitura di missili a lungo raggio per pareggiare le recenti avanzate russe. Poi bisogna intendersi su cosa significa vincere. I russi potranno controllare parti dell’Ucraina ma non prendersi tutto il Paese. Allo stesso tempo per gli ucraini, se vincere significa far tornare i russi a casa, mi pare un obiettivo poco realistico da raggiungere». Parlando delle trattative a livello diplomatico, se per Massolo «Erdogan gioca su più tavoli, sta prevalendo, malgrado toni diversi, la compattezza occidentale, fatto per nulla scontato. È l’eterogenesi dei fini di Putin: voleva spaccare un Occidente che gli si è riproposto compatto e ricacciare lontana la Nato che gli si è riproposta vicina. Svezia e Finlandia si sentono insicure dopo che Putin ha invaso l’Ucraina. Non penso che la loro domanda di adesione influisca sulla guerra. Non scambiamo la situazione di conflitto con la partita di scacchi che si giocherà dopo e riguarda i futuri equilibri in Europa. Se Putin si rafforza su Mar Nero e Mar d’Azov, due Stati confluiscono nella Nato e vanno a rafforzare il campo occidentale: ciò rientra nella logica della deterrenza. Ma una potenziale escalation non la vedo: anche i russi hanno detto che le scelte svedesi e finlandesi sono decisioni sovrane. Il paradosso è che ora Putin si trova un confine di 1.300 chilometri più lungo con un Paese Nato, non granché come risultato. La conferma che la guerra si sta dimostrando per lui un fallimento militare e geopolitico».