C'è una paradossale evoluzione del mondo ultras. Era un universo identitario romantico e antagonista, violento ma con pseudoideali. Si è trasformato in una paradossale istituzione. Con una licenza del tutto particolare: l'esclusiva nell'uso della forza nelle circostanze in cui l'ordine pubblico sfugge agli agenti. Reggio Emilia, teatro del trionfo milanista di domenica sera, offre l'ultimo esempio di questa assurda evoluzione: a fine partita i tifosi non organizzati invadono il campo, ma i capi della curva rossonera li riportano con le cattive maniere sugli spalti e infliggono loro anche una sanzione finale, del tutto insensata. I video che da ore sono diventati virali in Italia (e non solo) mostrano energumeni di mezza età aspettare i giovani invasori al varco che li riporta sulle gradinate: questi capi delle curve, anziché accontentarsi di aver ripristinato l'ordine sul rettangolo verde, assestano micidiali schiaffoni agli indisciplinati, che sarebbero pur sempre tifosi della stessa squadra. Azione eseguita con una sicurezza dei propri mezzi sconcertante. Difficile dire quanto il caso sia emblematico e generalizzabile. Ma qualche altro precedente analogo si ricorda. Degli ultras e degli scontri sugli spalti si parla assai meno che in passato. Resta una curiosa integrazione della loro violenza nel sistema calcio, di fronte alla quale club e istituzioni sportive appaiono rassegnati. E resta il senso di una libertà vigilata a cui i tifosi non militarizzati devono adeguarsi quando vanno alla partita. Il contrario di quanto dovrebbe avvenire allo stadio, che sarebbe in teoria un liberatorio luogo di passione. Naturalmente il nostro calcio ha problemi e incertezze anche più ingombranti. Ma il sintomo di un servizio d'ordine assicurato dai capi ultras ci ricorda che la strada per superare quei problemi è lunga assai.