Mi permetto di scrivere la presente nella mia qualità di difensore di fiducia di due signore, dal 6 aprile 2022 detenute presso la Casa circondariale di Milano-San Vittore in esecuzione della sentenza emessa in data 16 ottobre 2020 dal Gip presso il Tribunale di Milano, che le ha condannate ad anni 2 e mesi due di reclusione per il reato di cui agli articoli 81 c.p.v. 110, 314 c.p e per il reato di cui agli artt. 81 c.p.v. 320 in relazione al 318 c.p..In particolare le due signore, all’epoca dei fatti dipendenti dell’azienda che gestisce il servizio rifiuti presso una ricicleria cittadina, hanno ricevuto qualche regalino in denaro, nell’ordine di 5-10 euro spontaneamente corrisposto da alcuni utenti che ivi si recavano per conferire materiale, e si sono impossessate di alcuni rifiuti che gli utenti avevano conferito in discarica, commettendo, pertanto, il reato di corruzione (in tutto qualche decina di euro) e peculato (appropriazione di rifiuti) essendo state qualificate come incaricate di pubblico servizio. A seguito dell’introduzione della legge n. 3/2019, che è intervenuta anche sull’articolo 4-bis Ord. Pen. le due signore, di anni 60 e 56, incensurate e ad oggi pensionate, si sono trovate a scontare la pena in regime di detenzione senza poter accedere ad alcuna misura alternativa. L’istanza presentata dal sottoscritto al Magistrato di Sorveglianza di Milano, dopo la carcerazione e volta ad ottenere l’affido in prova in ragione della collaborazione prestata fin dagli albori del procedimento penale, è stata dichiarata inammissibile gettando nello sconforto assoluto le due signore. Mi permetto di segnalare che una delle due signore è vedova da anni, e ha perso una figlia dell’età di 22 anni, invalida fin dalla nascita, di cui si era occupata da sola fino alla morte; per superare l’enorme dolore si prendeva cura, fino all’arresto, della mamma 90enne e di una sorella alcolista.Inutile dire lo strazio della mamma che dal 6 aprile non riceve più le quotidiane visite della figlia. L’altra signora è madre di una ragazza di 22 anni studentessa in Giurisprudenza e moglie di un impiegato; una famiglia modello che sta scontando pene amare dal punto di vista umano per una vicenda abnorme rispetto al fatto compiuto, ossia l’appropriazione di rifiuti e l’accettazione di qualche mancia per il caffè. Mi permetto di segnalare che l’azienda, parte offesa nel procedimento penale, in sede civile avanti il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, ha conciliato la causa di impugnazione del licenziamento corrispondendo addirittura una cospicua somma di denaro alle due signore, e ha rinunciato ad ogni richiesta di risarcimento nel procedimento penale che, tuttavia, è stato coltivato d’ufficio dal Pm. Le due signore hanno collaborato con il Procuratore chiedendo di patteggiare la pena fin dalla notifica del primo avviso di garanzia; credo sia un caso più unico che raro in Italia. Nondimeno la Procura ha ritenuto la condotta processuale delle signore corretta ma non idonea al fine di assicurare loro i benefici delle misure alternative. In buona sostanza per essersi impossessate di qualche rifiuto abbandonato in discarica e di qualche mancia per il caffè, le due signore, a tenore del novellato art. 4bis Ord. Pen. dovranno scontare in regime carcerario 2 anni e 2 mesi di reclusione con telefonate ridotte al lumicino come se fossero due appartenenti alla mafia o associazioni simili. Non serve essere giuristi del livello e della sensibilità dell’appena scomparso Professor Onida per comprendere l’indefettibile urgenza di apportare immediata correzione al sistema normativo in vigore. Lo sconforto che sta pervadendo il cuore e l’anima di queste due persone, consapevoli di aver commesso azioni illecite, può portare a conseguenze che ricadrebbero sulle nostre coscienze come macigni. Spero si possa trovare una soluzione ragionevole a simili storture rimuovendo l’ingiusta equiparazione tra reati di straordinaria gravità che giustamente vanno perseguiti e sanzionati con rigore e reati di più modesta entità che scontano il fatto di trovarsi entrambi nel novero dei reati cosiddetti ostativi. La punizione è giusta; la tortura non ha alcuna funzione rieducativa. Ringrazio fin da ora per l’attenzione a questo caso simile a tanti ancora anonimi sui quali è calato dal 2019 il più assordante silenzio. Lettera firmata Pasquale Cuomo, del Foro di Milano