Basta armi italiane a Kiev senza un nuovo voto del Parlamento. È questo, in estrema sintesi, il concetto che il Movimento 5 Stelle ribadisce a Mario Draghi dentro e fuori l’Aula. Lo dicono i capigruppo alla Camera e al Senato, Davide Crippa e Mariolina Castellone, dopo aver ascoltato l’informativa del presidente del Consiglio sulla crisi ucraina, lo ripete Giuseppe Conte poco dopo, ospite dell’evento Pnrr: priorità e futuro dell’Italia, organizzato da Aepi e Adnkronos. Per i grillini l’informativa del premier tanto attesa non basta. Sull’Ucraina «c’è una risoluzione, lo ha detto anche Draghi», spiega Conte «è stata votata dal Parlamento a inizio guerra ed è giusto vada aggiornata, è giusto che il Parlamento si possa anche misurare su una nuova convergenza che rafforzi anche il governo».

In altre parole: serve un nuovo voto per poter inviare nuovi sostegni militari, chiede il leader 5S all’indomani dell’incidente in commissione Esteri del Senato che ha portato all’elezione di Stefania Craxi alla presidenza, al posto del grillino Ettore Licheri. Uno sgambetto pericoloso che si ripercuote in Aula il giorno dopo durante gli interventi. Come quello della capogruppo pentastellata Castellone, che punta il dito contro «questa maggioranza trasversale non si dimostra sempre corretta e lo dimostra quanto avvenuto ieri». Il Movimento ha il dente avvelenato con l’ex Bce - che secondo l’avvocato avrebbe la responsabilità politica di tenere insieme la maggioranza, evitando giochetti che alzano il livello della tensione - e vuole mettere sul piatto il proprio peso.

Così alla Camera il capogruppo Davide Crippa ricorda al premier che «lo strumento dell’invio delle armi, stando ai risultati ottenuti dopo 85 giorni di guerra non è efficace per costruire la pace. Questo è il motivo per cui chiediamo che presto quest’Aula possa esprimersi nuovamente con un voto», è il ritornello in casa cinque stelle, insieme alla richiesta pressante di confronto costante rivolta al capo del governo. «Il confronto parlamentare non deve essere visto come un ostacolo o un impedimento. Siamo certi che un voto parlamentare possa solo rafforzare e non indebolire l’azione politica del governo. A lei presidente Draghi, su questo, chiediamo coraggio», scandisce Crippa, preoccupato dall’impoverimento del dibattito politico e istituzionale in cui «sembra aver prevalso il tema del potenziamento dell’invio delle armi offuscando quello dei negoziati per la ricomposizione del conflitto, per via diplomatica».

I grillini battono dunque sul loro tamburo e Draghi li lascia fare senza tuttavia modificare di un millimetro la sua strategia. Ai 5S non resta che ondeggiare tra la lotta e il governo col rischio di vedere erodere ulteriormente i loro consensi. E non solo. Perché la stessa leadership di Conte, a lungo andare, potrebbe uscirne ammaccata. L’incidente della commissione Esteri, del resto, ha lasciato grandi strascichi anche all’interno del partito, dove sul banco degli imputati finisce proprio il numero uno, colpevole, a detta dei detrattori, di aver voluto scommettere su un “cavallo” risaputamente perdente come il suo fedelissimo Licheri.

L’avvocato prova a parare i colpi come può e replica a brutto muso agli avversari interni: «Qualcuno oggi si sta vantando nel dire: Conte non sa fare politica. Ma quel tipo di politica non ci appartiene, fatevela voi», dice nel pomeriggio l’ex premier, pensando di mettere a tacere il dissenso. Che poco dopo, invece, assume le sembianze dell’eurodeputato Dino Giarrusso - convinto che il M5S debba uscire dal governo - che in diretta tv, su La7, dice senza mezzi termini del leader: «Non dico che non sia la persona giusta ma che stiamo commettendo gravi errori, i nostri elettori ci osservano e lo sanno bene». Poi l’affondo: «Licheri? Doveva essere il capogruppo al Senato ed era stato trombato dai nostri stessi senatori, che hanno preferito Mariolina Castellone. Ma per quale motivo bisognava dare per forza dare una poltrona a Licheri, sapendo che c’erano dei distinguo su di lui? Perché abbiamo insistito su Licheri, che comunque è una persona validissima?» . L’attacco è così diretto e inequivocabile che qualcuno sembra temere una possibile slavina e dal quartier generale pentastellato

si decide di intervenire in maniera pesante con Riccardo Ricciardi, vice capogruppo dei deputati. «Dino Giarrusso e Vincenzo Spadafora (che poche ore prima aveva lanciato un altro affondo, ndr) cercano visibilità personale a scapito di tutto il Movimento: Giarrusso parla di cose che non sa e che legge su qualche giornale, ragionando tra l’altro con gli schemi della vecchia politica fatta di giochini per le poltrone». Il clima, insomma, non sembra essere di cordialità. Né dentro, né fuori il M5S.