Michele Vietti, ex vicepresidente del Csm, spiega che «lo sciopero dei magistrati era un’operazione suicida fuori dal tempo» e che «questo è il tempo della responsabilità della politica», il cui mestiere «è quello di perseguire gli interessi generali, anche a costo di sacrificare quelli delle corporazioni». Per poi strigliare gli stessi magistrati: «È chiaro che un pm che si vede respingere tutte le proprie richieste di rinvio a giudizio o di condanna, evidentemente non sa fare il proprio mestiere».

Onorevole Vietti, la debacle dello sciopero indetto dall’Anm è un fatto nuovo nella storia dei rapporti tra magistratura e politica. Che giudizio dà dell’accaduto?

Credo che chiunque avesse un minimo di sensibilità politica fosse in grado di capire che uno sciopero dei magistrati in questo momento sarebbe stato un fallimento. La categoria esce da un periodo molto critico, di forte delegittimazione e di perdita di credibilità presso l’opinione pubblica. Ma anche di frustrazione dei vari magistrati che fanno il loro dovere e che ovviamente non amano la rappresentazione negativa della categoria emersa negli ultimi due anni.

Lo sciopero era contro la riforma Cartabia: pensa che il testo della guardasigilli possa cambiare in meglio la giustizia nel nostro paese?

Sono il primo a dire che la riforma Cartabia non risolve i problemi, ma impostare lo sciopero dicendo che attenta all’autonomia e all’indipendenza della magistratura è fuori dal tempo. La giustizia in Italia così com'è non funziona, per cui dire “non vogliamo cambiare niente” è un’operazione suicida.

Nell’ordine giudiziario, per la prima volta, c’è l’impressione che una buona fetta dei magistrati non si riconosca nell’Anm: come può incidere questo nella politica della giustizia ?

Penso che le riforme le debba fare la politica. Perciò è sbagliato in via di principio stare a chiederci cosa debbano o non debbano fare i magistrati. Questo è il tempo della responsabilità della politica. Se la politica c’è, batta un colpo. Quando leggiamo nella Costituzione che i magistrati sono soggetti solo alla legge, dobbiamo intendere che sono soggetti innanzitutto alla legge, che però è scritta dal legislatore. Occorre tornare alla divisione dei poteri: è la legge che si impone al magistrato, non viceversa.

Dunque la palla è nel campo della politica: cosa dovrebbe fare per cambiare in meglio il nostro sistema giudiziario?

Se la politica, dopo una fase ( purtroppo) di delegittimazione della magistratura, nella quale è emerso plasticamente che il suo governo così com'è non funziona, non ha il coraggio di intervenire e cambiare le regole del gioco, allora abdica al proprio mestiere, che è quello di perseguire gli interessi generali, anche a costo di sacrificare quelli delle corporazioni.

La ministra Cartabia ha provato a farlo con le proprie riforme: come giudica il fatto che gli avvocati possano votare sulla valutazione di professionalità di un magistrato?

Avevo già inserito una norma simile nelle proposte di modifica dell’ordinamento giudiziario che consegnai al ministro Orlando. Certo è un po’ poco per raddrizzare il governo della magistratura. Se poi penso che nel silenzio generale la riforma aumenta i membri del Consiglio superiore da 24 a 30, mi chiedo se il governo sia in sintonia con la realtà o se viva fuori dal mondo.

Qual è il suo parere sulla norma che impone di nominare i capi di tribunali e procure seguendo l’ordine in cui quegli uffici sono andati scoperti, e non con le cosiddette nomine “a pacchetto”?

Anche questo fa parte delle proposte che feci nella commissione Orlando, perché è semplice buonsenso. Il problema è che finché seguiremo un testo unico della dirigenza con 100 articoli che spiegano nei minimi dettagli quali caratteristiche deve avere il capo dell’ufficio e che quella è una scelta di responsabilità “politica”, continueremo a far governare i magistrati ordinari da quelli del Tar.

La riforma prevede che un magistrato possa essere penalizzato se si scopre che i suoi provvedimenti sono puntualmente smentiti: che ne pensa?

Il fascicolo del magistrato c’è già, sfatiamo l’idea che sia una rivoluzione. Il problema è come lo si usa. Se vogliamo dire che un magistrato va valutato anche per gli esiti della sua attività sono totalmente d’accordo. È chiaro che un pm che si vede respingere tutte le proprie richieste di rinvio a giudizio o di condanna, evidentemente non sa fare il suo mestiere, che non è quello di fare inchieste eclatanti che finiscono sui giornali, ma portare a casa le condanne quando ci siano sufficienti elementi per chiederle e per ottenerle. La stessa cosa ovviamente vale per i giudici ai quali vengono ribaltate le sentenze in appello o in cassazione.