Giuseppe Conte si sbraccia, sbraita, minaccia la maggioranza dopo il voto della commissione Esteri del Senato che ha eletto la forzista Stefania Craxi nuova presidente. Quella poltrona, è il ragionamento pentastellato, toccava di diritto al Movimento 5 Stelle che, insieme agli altri partiti, si era dimesso in massa dall’organismo per far decadere Vito Petrocelli, il grillino allontanato dal Gruppo 5S per alcune esternazioni di cattivo gusto ancor prima che filo putiniane.

Il partito di maggioranza relativa perde dunque la presidenza di una Commissione di peso, sotto i colpi del centrodestra, del Misto e, forse, di qualche franco tiratore da rintracciare tra le file di Italia viva (che nega, giurando di aver votato scheda bianca) o dello stesso Movimento (che ridicolizza l’ipotesi). Alla fine Craxi la spunta per 12 voti contro i 9 di Ettore Licheri, contiano di ferro, sostenuto sulla carta da grillini e dem. Conte, infuriato, chiede conto a Mario Draghi della situazione, «era stato avvertito già ieri. Spetta a lui la responsabilità tenere in piedi questa maggioranza», dice l’ex premier.

Eppure, in casa cinque stelle, la bocciatura di Licheri non arriva come un fulmine a ciel sereno. Pallottoliere alla mano, al quartier generale grillino avevano messo in conto un esito simile, figlio non tanto ( o non solo) delle divisioni in maggioranza ma soprattutto delle beghe interne al Movimento stesso in cui gli altri partiti si son messi a sguazzare. Se i grillini avessero infatti optato per la candidatura di Simona Nocerino, esponente dell’ala “dimaiana” e dunque filogovernativa, proposta dal ministro degli Esteri, la maggioranza non avrebbe opposto resistenze. Solo che per l’avvocato accettare di piazzare al posto di Petrocelli una senatrice vicina al nemico Di Maio sarebbe stata una sconfitta troppo cocente, un segnale di debolezza da regalare all’esterno. Meglio dunque optare per la debacle più “onorevole”, scommettendo sul fidato ma sgradito ai più Licheri. Conte, in altre parole, ha scelto su quale fronte fosse più conveniente perdere, consapevole della quasi impossibilità della vittoria. E sconfitta è stata, come da programma.

Ma l’ex premier appare comunque sorpreso dal voto e ne approfitta per bombardare di nuovo la maggioranza che «esiste solo sulla carta, non nella realtà del confronto quotidiano», dice il leader 5S. «Registriamo come ormai sia venuto meno anche il più elementare principio di leale collaborazione. Si è verificata una gravissima scorrettezza che ha innescato una evidente frattura tra le forze di maggioranza», aggiunge Conte, alzando i toni del confronto con gli “alleati”. Perché prevedibile o no, la disfatta non fa piacere a nessuno e l’ex premier, per quanto intenzionato a non staccare la spina al governo, non ha comunque nessuna voglia di lasciar passare in cavalleria l’incidente in Commissione, e prepara la guerriglia con scrupolo.

La prima occasione per rispondere al “fuoco” si presenterà oggi stesso con l’informativa di Draghi alle Camere sulla posizione italiana in merito al conflitto in Ucraina. È in questo contesto che il capogruppo grillino a Montecitorio, Davide Crippa, tornerà a chiedere al premier con grande insistenza un nuovo voto (che Draghi non concederà mai) sull’invio di armi a Kiev. E pur consapevoli di sparare a salve, i cinque stelle insisteranno sulla necessità di ridare la parola al Parlamento, viste le mutate condizioni belliche maturate da marzo a oggi.

I pentastellati proporranno un limite massimo di spedizioni (tre carichi di armi) dopo il quale sarà necessario un nuovo passaggio d’Aula, promettendo il finimondo in caso di indifferenza da parte della maggioranza. L’indifferenza però ci sarà e il finimondo (fatto salvo quello verbale) no, visto che Conte non vorrebbe creare fratture insanabili col Pd, né sembra essere in grado di convincere i suoi parlamentari a rinunciare all’ultimo anno di legislatura, e di stipendio, in nome di una nuova linea barricadera.

Al Movimento 5 Stelle non resterà dunque che proseguire con la strategia di lotta e di governo sperando che alla lunga paghi almeno nelle urne. Difficile prevederlo adesso. Di certo, i grillini, prima forza parlamentare, chiudono la legislatura con un presidente di Commissione in meno.