Walter Verini ha fede nella dialettica. Nella dialettica parlamentare che ha prodotto «le riforme del processo e ora il ddl sul Csm, approvato alla Camera». Ma il tesoriere del Pd e deputato della commissione Giustizia crede anche in una dialettica che veda «la magistratura e la stessa avvocatura protagoniste in modo costruttivo della nuova giustizia, di una grande fase di innovazione». E visto che, dice, «ricostruire la giustizia è opera da realizzare nei luoghi appropriati», è convinto che «non sia il referendum lo strumento per cambiare davvero. Ecco perché il mio partito ha scelto di schierarsi per il No ai 5 quesiti del 12 giugno. D’altra parte, non è nostra abitudine invitare la gente ad andarsene al mare».

Ed ecco perché, onorevole Verini, parteciperete, come il M5S, anche alle tribune referendarie in tv, anziché disertarle e tifare comodamente per l’astensione. Scelta che vi fa onore.

Parto da un presupposto. Si tratta di referendum strumentali, che non sembrano avere consistenza, nel merito. E un po’ lo dimostra anche il modo in cui ci si è arrivati: non con una raccolta firme ma in virtù delle delibere di 9 Regioni governate dalle destre. Noi siamo convinti che la soluzione per migliorare la giustizia non venga da una proposta abrogativa. Ma ripeto: non è nostra abitudine invitare la persone ad andare a mare. Poi saranno i cittadini a decidere cosa fare.

E perché vi schierate per il No in tutti i quesiti? Non ne salvate nessuno?

Esprimeremo innanzitutto due No decisi nel merito: sul quesito relativo alla legge Severino e su quello in materia di misure cautelari. Nel primo caso, è molto semplice: la Severino va sicuramente cambiata, ma non abrogata del tutto, come avverrebbe con la vittoria del Sì. In quel caso, scomparirebbero anche le norme che, per esempio, impediscono a un condannato per mafia di candidarsi una volta scontata la pena, magari nello stesso contesto territoriale in cui aveva fatto parte di una cosca e con il rischio che ripristini i vecchi legami. Mi pare vi sia già troppa penetrazione delle mafie in tanti territori, perché si possa correre un simile rischio. Tutt’altra cosa è tutelare i sindaci perbene ed evitare che scattino l’incandidabilità o la sospensione per una condanna in primo grado.

Obiettivo sacrosanto, ma alle Camere le proposte che lo perseguono viaggiano lentissime.

Noi del Pd, con Parrini al Senato e Ceccanti alla Camera, abbiamo presentato leggi per eliminare proprio quegli effetti paradossali della disciplina. Le si calendarizzi, anziché fare ostruzionismo.

E senza referendum come si contrasta l’abuso della custodia cautelare?

Ci sono sicuramente troppe persone che scontano misure cautelari in carcere laddove potrebbero farlo al più ai domiciliari. Ma eliminare del tutto il presupposto della possibile reiterazione del reato per tutte le misure, non solo detentive, non risolverebbe davvero quel ricorso eccessivo: semplicemente impedirebbe di applicare misure assolutamente necessarie per reati come lo stalking, dal braccialetto elettronico al divieto di avvicinamento. Le riforme si fanno in Parlamento, non con colpi d’accetta sbrigativi.

Non sempre il Parlamento sa essere concreto.

Eppure sono state approvate le riforme di entrambi i processi, e ora, alla Camera, anche quella dell’ordinamento giudiziario e del Csm. Che contiene, per completare il quadro dei referendum, norme con cui vengono ampiamente superati gli altri quesiti. Dall’eliminazione delle firme per le candidature dei togati, al voto degli avvocati nei Consigli giudiziari, che grazie all’emendamento proposto dal Pd viene introdotto, nella riforma Cartabia, in modo da spersonalizzare la scelta e trasformarla in una pronuncia dell’intera avvocatura. Riguardo alla separazione delle funzioni, sappiamo che dai 4 cambi previsti finora si è arrivati all’unico passaggio stabilito in seguito alla sintesi tra i partiti. Un punto di caduta più che sufficiente, direi, tenuto conto di quanto pochi siano, nella realtà, i cambi da pm a giudice: 121 nel quadriennio 2016- 2020, 30 l’anno, quasi tutti chiesti da giovani magistrati che pur di avvicinarsi a casa hanno accettato una funzione diversa. E ricordiamoci che anche avvocati come Franco Coppi ritengono importante favorire, anche con l’osmosi fra requirente e giudicante, la cultura della giurisdizione.

Ma i referendum non andrebbero apprezzati a prescindere quali opportunità per rilanciare una partecipazione attiva dei cittadini alla politica della giustizia?

A me sembra una consultazione strumentale, nata con questa cifra fin dalle delibere regionali che l’hanno consentita. Nei fatti non mi pare ci sia questa valenza. I cittadini si riconciliano con la giustizia a partire dai tempi ragionevoli dei processi e da uffici giudiziari che funzionano.

Al di là degli schieramenti per il Sì e per il No, cosa pensa dell’inedita presenza dell’Organismo congressuale forense nelle tribune referendarie?

È un fatto positivo: l’avvocatura è una componente essenziale della giurisdizione. È importante che sia la magistratura che il mondo forense, attraverso tutte le sue componenti, partecipino al dibattito. Ma ne posso prendere spunto per un’osservazione a latere sulla presenza politica delle toghe?

Faccia pure.

In Parlamento, a fronte di 141 avvocati, ci sono 3 magistrati, poi c’è stato Emiliano e infine il caso Maresca: davvero era così vitale intervenire sulle cosiddette porte girevoli o se n’è parlato in modo eccessivo?

Dietro lo sciopero Anm c’è anche il bisogno dei magistrati di capire fino a che punto la politica vuole spingersi nel ridefinire gli equilibri?

Allora: in alcuni settori della politica vedo ancora la tentazione di regolare i conti, di non chiudere la guerra dei trent’anni sulla giustizia. Servono le riforme, non scelte che perpetuano il conflitto, anche perché la sensazione stessa che si voglia procedere in questa seconda direzione potrebbe provocare reazioni sbagliate nella magistratura. Ciò detto, a me sembra che la magistratura abbia perso un’importante occasione di essere essa stessa promotrice di riforme, protagonista di quell’autorigenerazione evocata dal presidente Sergio Mattarella sia al Csm che in Parlamerno. Dal caso Palamara, che è solo un epifenomeno, si poteva cogliere l’opportunità di affermare, ad esempio, che vanno difese le correnti ma spazzato via il correntismo. Invece le toghe hanno preferito indossare l’elmetto, e sottovalutato il fatto che, anche grazie al Pd, sono state tenute fuori dalla riforma ipotesi pericolose, come la responsabilità diretta, o mortificanti, come il sorteggio. Se davvero si intravedono rischi di compromettere l’autonomia dei giudici, si accetta di contribuire alla discussione, nei limiti della separazione dei poteri. Con lo sguardo in avanti e in modo da restituire davvero smalto all’Anm.

Onorevole, per chiudere sul referendum: cosa pensa degli esponenti dem che hanno scelto di sostenere, del tutto o in parte, il Sì ai quesiti?

Semplice: la nostra linea, il nostro orientamento, sono chiari, su tutte e 5 le proposte abrogative. Erano stati esposti nella relazione di Enrico Letta in direzione nazionale. Dopodiché, se c’è qualcuno che la pensa diversamente, e che assume una posizione individuale, noi non siamo una caserma.

Non avete pronte epurazioni, insomma.

Direi proprio di no, né scomuniche né epurazioni...