Comincia oggi da Roma il viaggio di Matteo Salvini e della Lega che toccherà le venti regioni sotto lo slogan «È l’Italia che vogliamo». Con tanto di interventi di esperti di economia, giustizia, lavoro, relazioni internazionali, autonomia, energia e ambiente. Insomma, una sorta di conferenza programmatica che faccia da trampolino di lancio in vista delle prossime Politiche e ponga le basi per un governo a guida leghista. Se vi sembra di aver già sentito qualcosa del genere di recente, non è una vostra impressione.

La prima tappa del tour del Carroccio assomiglia molto alla convention di due settimane fa di Fratelli d’Italia, dalla quale Giorgia Meloni, forte dei consensi in ascesa, ha detto chiaro e tondo che sarà proprio Fd’I il partito da battere alle urne. E se c’è una cosa più di altre in cui le due manifestazioni si guardano allo specchio, quella è l’assenza di esponenti dell’altra parte. Niente leghisti a Milano, niente meloniani a Roma. Che già di per sé suona strano, ma tant’è. A dirla tutta, i primi a partire con i propri ritrovi sono stati gli azzurri di Forza Italia, con gli stati generali al Parco dei Principi e il ritorno in pompa magna di Silvio Berlusconi (e relativa presa di distanza, a oltre un mese dall’inizio della guerra, da Vladimir Putin). E dunque passando per Fratelli d’Italia ora tocca alla Lega, con un enorme punto interrogativo: il partito di Matteo Salvini guarda una futura vittoria della coalizione o a riguadagnare i consensi persi dal Papeete in poi? Certo l’una non esclude l’altra, ma che uno come Matteo Salvini, capace di prendere il partito al 4 per cento e portalo al 34, accetti di fare il partner di minoranza di una Giorgia Meloni oltre il 20 per cento, è difficile da credere.

«Il nostro incontro è stato programmato ben prima che venisse calendarizzata l’iniziativa di Fratelli d’Italia, che noi riteniamo comunque positiva - spiega dalle parti di via Bellerio Roberto Calderoli - Chiariamo però che viaggiamo su due strade che possono essere anche parallele, ma che non c’entrano nulla l’una con l’altra». Per poi sottolineare la volontà leghista di dare vita a un «programma elettorale che non sia un libro dei sogni ma una sintesi delle esigenze dei vari territori e operatori del settore». Praticamente ciò che ha fatto Fd’I a Milano. «Per farlo è determinante incontrarsi con la società civile, come faremo oggi, ma se si vuol fare una coalizione si devono rendere compatibili programmi diversi attraverso una sintesi».

Il punto è che, a oggi, quella sintesi è ancora lontana dall’essere trovata. Basti pensare alla Sicilia, dove per la corsa alla carica di sindaco di Palermo è stato trovato in extremis l’accordo su Roberto Lagalla, dopo che i vari candidati di centrodestra se l’erano dati di santa ragione. Con il nodo della presidenza della Regione ancora da sciogliere, con Musumeci che da una parte vorrebbe ricandidarsi forte del sostegno di Fd’I e il resto della coalizione che non ci pensa nemmeno.

In quel di via della Scrofa la narrazione è più o meno simile, ma con sfumature non da poco. «In coalizione non ci sono partiti uguali, altrimenti ci uniremmo in un partito unico, ma il punto di partenza per un accordo è dire basta a qualsiasi altro governo con il Pd - ragiona Lucio Malan - I dem oggi stanno dettando l’agenda di governo nonostante in maggioranza ci sia anche la Lega, quindi in futuro qualcosa dovrà per forza cambiare».

Per poi rimarcare le distanze tra alleati. «È più che normale che ogni partito abbia le sue iniziative, noi l’abbiamo fatta a Milano e la Lega la fa a Roma, non c’è nulla di strano al di là delle vere o presunte rivalità spiega ancora il senato di Fd’I - Nei tanti anni in cui il centrodestra ha governato insieme a livello nazionale e ancor di più a livello locale ci siamo sempre messi d’accordo, ma se Lega e Fi intendono fare un partito unico, questo progetto non ci coinvolgerà». La corsa alla leadership del centrodestra è ancora all’inizio.