Professor Sapelli, pensa che il faccia a faccia tra Mario Draghi e Joe Biden possa cambiare qualcosa nella soluzione della crisi energetica derivate dalla guerra in Ucraina?

Sono piuttosto scettico, soprattutto sulla volontà di un embargo su petrolio e gas russo, perché non credo che il viaggio di Draghi possa favorire un’accelerazione di questa proposta. Penso che la chiave di volta di un eventuale cambiamento della posizione statunitense e anche di quella ufficiale dell’Ue sulle sanzioni sia in verità nelle mani di Germania e Francia e che ancora una volta, come fu nel 2003 nei confronti di Saddam Hussein, pur sottolineando la natura aggressiva e criminale della Russia verso l’Ucraina tanto Berlino quanto Parigi cercheranno in ogni modo di impedire l’embargo.

Draghi ha però una posizione più filoamericana rispetto a Scholz e Macron: non pensa che questo potrebbe favorire il dialogo tra Roma e Washington?

Draghi ha una posizione simile a quella minoranza dell’establishment americano che è a favore delle sanzioni. Dico minoranza perché è un dato significativo che una persona come Janet Yellen (segretaria al Tesoro Usa, ndr) che occupa uno spazio decisivo nell’amministrazione americana abbia pronunciato una sua opinione non smentita e poi sia stata costretta al silenzio. In quella frase ricordava al presidente Biden che le conseguenze di un embargo su petrolio e gas russi avrebbe fatto aumentare il prezzo del petrolio anche negli Usa così come dei prodotti raffinati, in primis la benzina. E questo per gli americani sarebbe un grosso problema. Sono stati significativi anche diversi articoli che appaiono ormai stabilmente sul New York Times in cui la dirigenza democratica alza ogni giorno il tema per non far applicare le sanzioni.

Tuttavia Draghi è andato negli Stati Uniti per parlare dell’aumento di gas naturale liquefatto in arrivo dagli Usa. È una buona alternativa al gas russo?

L’arrivo di gas liquefatto americano avrebbe un prezzo oltremodo superiore a quello attuale e questo farebbe aumentare non soltanto il prezzo delle materie prime energetiche ma anche di quelle alimentari. La posizione di Draghi è quindi ininfluente, anche perché l’Italia ha potuto svolgere un certo ruolo fino a quando si è comportata da fedele vassallo atlantico, ad esempio quando Giorgio la Pira andò a parlare direttamente con Ho Chi Min. Oggi la situazione è un po’ diversa.

Qual è dunque la via per uscire dall’impasse sulla crisi energetica?

Di certo le sanzioni su petrolio e gas avrebbero effetti devastanti sul sistema industriale italiano e ci farebbero tornare indietro di dieci anni. Basti vedere cosa succede all’Ilva, che ha praticamente smesso di produrre acciaio. La via è quella di aumentare la produzione nazionale e, come ha detto anche l’Europa, di riattivare le centrali a carbone. Il gas liquefatto statunitense è l’ultima delle opzioni, anche perché i rigassificatori che abbiamo sono ottimi e funzionano bene ma sono pochi.

E l’idea di comprare gas da altri paesi, soprattutto africani?

Il problema è il tempo. Ci vogliono almeno cinque o sei anni per arrivare alla quantità di gas che arriva oggi dalla Russia. Anche per sfruttare il giacimento egiziano scoperto da poco da Eni ci vorrebbero almeno due anni. Non parliamo di moda, in cui per fare un vestito ci vogliono due ore. Per fare un gasdotto o una centrale occorrono due anni.

E le fonti rinnovabili?

Con il vento e con il sole riscaldiamo l’acqua, ma non riusciamo certo a fare un’operazione chirurgica. La migliore forma di risparmio energetico è spegnere i telefonini almeno cinque o sei ore al giorno.

A proposito di produrre energia, c’è dibattito sul termovalorizzatore di Roma: qual è la sua posizione?

Io sono enormemente favorevole. Quello di Brescia è un capolavoro di ingegneria ed è la dimostrazione di come con i rifiuti si può produrre energia. Brescia è riscaldata per circa il 60 per cento con i propri rifiuti. Volevo farlo anche io a Modena ma poi il potere prodiano locale mi cacciò.