«La considero una vendetta politica». Vito Petrocelli, ex senatore del Movimento 5 Stelle, ha appena appreso di non essere più presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama quando pronuncia queste parole. Per disarcionarlo, la Giunta del regolamento presieduta da Maria Elisabetta Alberti Casellati ha votato all’unanimità il parere che prevede lo scioglimento e il rinnovo della Commissione dopo le dimissioni in massa di quasi tutti i componenti. Tradotto: Petrocelli non ha più alcun organismo da presiedere. Gli unici a non dimettersi sono stati lo stesso presidente e un altro ex grillino, Emanuele Dessì, nel frattempo transitato il Partito comunista di Marco Rizzo. Adesso la presidente del Senato è tenuto, «al fine di garantire il regolare svolgimento dei lavori parlamentari, a provvedere agli adempimenti necessari al rinnovo dell’organismo», si legge nel parere adottato dai senatori. Così dopo settimane di minacce, accuse e studi regolamentari tutti i partiti esultano per essere riusciti a mandare a casa il grillino eretico, salito agli onori delle cronache per non aver votato la fiducia al governo sull’invio di armi in Ucraina, ma soprattutto per un tweet di cattivissimo gusto postato in occasione del 25 aprile. «Per domani buona festa della LiberaZione», aveva scritto sui social il senatore, utilizzando appositamente la Z, simbolo dell’aggressione russa a Kiev. È la goccia che traboccare il vaso. Petrocelli finisce nella bufera e Giuseppe Conte, già in difficoltà per la linea scettica del suo partito sul rifornimento di armi all’Ucraina, decide di espellere (in via informale) con la velocità di un controtweet il presidente della commissione Esteri dal Movimento. Eppure, ancora oggi, l’ex grillino difendeva la scelta di quella “Z”, una «provocazione» che rifarebbe, perché si tratta di tempi in cui «essere moderati serve a poco». Cosa significhi esattamente essere radicali, per Petrocelli, è ancora tutto da capire. Perché un conto è esprimere le proprie perplessità in Aula sull’invio di armi, altro solidarizzare apertamente con l’aggressore, con l’aggravante di ricoprire un ruolo istituzionale. Ma l’esponente filo russo ormai senza partito non sembra aver capito la gravità del suo gesto. E dopo il “licenziamento” dalla guida della commissione Esteri immagina possibili azioni legali: «Ho intenzione di fare ricorso alla Corte costituzionale, ma lo farò se me lo consiglierà il mio legale, se ne varrà la pena», dice a decadenza avvenuta. «La mia intenzione sarebbe di fare ricorso sulle motivazioni della Giunta, ma non sono un esperto e quindi mi affiderò al mio legale», aggiunge, prima di avventurarsi nei meandri dei cavilli: «Immagino che dovrebbe essere un ricorso su un conflitto di attribuzione, quello è lo standard di un ricorso del genere alla Corte costituzionale ma farò quello che mi consiglierà il legale», ragiona Petrocelli. Che poi si scaglia contro il suo ex partito, colpevole di averlo abbandonato. «Pensavo di fare la legislatura seguendo il programma elettorale, ma molto di quel programma è scomparso», dice, prima di scagliarsi contro Pd e Iv, i due partiti «più guerrafondai» del Parlamento. E sono proprio dem e renziani a mostrare maggior soddisfazione per la defenestrazione dell’ex 5S. «L’interpretazione della Giunta per il regolamento indica la strada da seguire per chiudere definitivamente una brutta pagina che abbiamo vissuto nelle istituzioni», dice la presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi. Di diverso tenore il tweet con cui il capo dei senatori Iv, Davide Faraone, replica poco prima della decisione ufficiale all’ex grillino: «Petrocelli, quello del tweet LiberaZione alla vigilia del 25 aprile, che dà dei guerrafondai a noi? Quest’uomo non smette mai di stupirci. Meno male che siamo in Giunta in questo momento proprio per farlo decadere ed evitare che arrechi altri danni al paese». Ora resta di capire chi potrà prendere il posto lasciato libero da Petrocelli. Pier Ferdinando Casini, il nome più gettonato come ai tempi del toto Quirinale, si è già tirato fuori.