Un mese. Trentadue giorni, per lesattezza. Niente. Ecco quanto manca al 12 giugno, giorno in cui gli italiani dovrebbero votare i referendum sulla giustizia. Matteo Salvini ha davanti a sé lo spettro del fallimento nella corsa al quorum, e tira fuori una parte della propria cifra politica che non può essere considerata tra le peggiori: la grinta del testardo. Parla in videocollegamento con la sede dei pannelliani a Roma. Lì, nella storica sede di via Torre Argentina, nel pomeriggio di ieri, è prevista la presentazione del libro della tesoriera del Partito radicale Irene Testa: Il fatto non sussiste. «Sapere che ci sono mille errori giudiziari allanno che poi finiscono in mille carcerazioni è drammatico», premette il leader della Lega. Che quindi racconta: «Quando abbiamo incontrato gli altri partiti in Parlamento, per capire se cera la volontà di fare una riforma della giustizia seria, abbiamo detto proviamoci noi, a mani nude». Ecco, Salvini si sente così, nella sfida per il quorum sui quesiti del 12 giugno: a mani nude, cioè disarmato. Motivato, ma disarmato. Metafora efficace, daccordo. Forse la scelta di drammatizzare poteva anche essere anticipata un po. «Il sistema ha paura di noi», dice ancora. Può darsi ci sia effettivamente, nel governo innanzitutto, paura di lasciare che i cittadini mettano le mani sula giustizia. «Tanti non sanno cosa accade il 12 giugno, non sanno che si votano i referendum», è laccusa del Capitano, che già sabato scorso, in videocollegamento con unaltra manifestazione, a Modena, aveva parlato di «lobby del silenzio» attorno ai cinque quesiti, formata da «politica, giornalismo, da certa magistratura». Ed è vero, finora cè stato il gelo dellinformazione, sulliniziativa promossa da radicali e Lega. Lo contestano in mattinata anche altri militanti pannelliani, guidati dallavvocata Simona Gianetti, che manifestano davanti alla sede Rai di corso Sempione a Milano. Due giorni prima anche il presidente dellUnione Camere penali Gian Domenico Caiazza aveva parlato, in unintervista al Giornale, di «servizio pubblico radiotelevisivo che sta venendo meno clamorosamente alla sua funzione». Ma qualcosa ora inizia a muoversi: in simultanea o quasi con le dichiarazioni del leader leghista, la Rai diffonde una nota in cui annuncia un doppio approfondimento su Rai 3, oggi e domani, nel rotocalco delle 12.25 Fuori Tg. Si parte con i quesiti su separazione delle funzioni, candidature dei togati al Csm e voto degli avvocati sulle carriere sui giudici. Domani seconda puntata con focus su legge Severino e custodia cautelare. E già da ieri mattina la prima edizione del Giornale radio approfondisce, a puntate, il contenuto delle proposte abrogative. Non può bastare ma inizia a esserci un minimo di luce dopo settimane di oggettivo oscuramento, e forse le proteste dei radicali, dellUcpi e ora finalmente della Lega producono qualche effetto.Tra laltro nel mondo dellavvocatura va ricordato limpegno partito dallOrdine di Milano e propagatosi allOrganismo congressuale forense, ammesso nelle tribune referendarie (quando ci saranno) sia dalla Vigilanza Rai che, per le tv private, dallAgcom. È indiscutibile che una materia cruciale come la giustizia avrebbe meritato altra visibilità già nei mesi scorsi. «Abbiamo un debito pubblico di 6 milioni di giudizi pendenti: se innocenti è una barbarie, se colpevoli è una follia»: Salvini tira fuori gli slogan a effetto, anche un po trasversali rispetto alla doppia anima del Carroccio, garantista in forma atipica. «Certo la Cassazione un referendum a caso lo ha eliminato: casualmente, quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Ma ci vorrebbero anche due Csm, uno per chi indaga e uno per chi giudica. E chi indaga e chi giudica non dovrebbero mai incontrarsi, ma nemmeno in vacanza a barca a vela». Con un finale un po retorico e un po romantico: «Il 12 giugno gli italiani possono rivoluzionare la giustizia», vero ma tardivo. Meglio quellappello realista e sentimentale: «Sarà difficile raggiungere il quorum del 51% al referendum? Sì. È impossibile? No. Passo dopo passo, come gli Alpini». Se non altro, ora il capo della Lega non può più tirarsi indietro.